Yoko Ono, da strega a vera geisha: l'icona oltre lo specchio

Yoko Ono, da strega a vera geisha: l'icona oltre lo specchio
di Alessandra Spinelli
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Giovedì 27 Aprile 2017, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 13:10
E invece lei non ha fatto un passo indietro e alla fine di tante polemiche, accuse, ripicche, rivelazioni, smentite e veleni, l’ha ribadito, persino in musica: «Yes, I’m a witch too». “Sì, sono sempre una strega” era infatti il titolo di un suo disco, ed era solo l’anno scorso, come se Yoko Ono a 83 anni avesse voluto rispondere una volta per tutte a chi pensò che era stata lei, marchiata come «brutta strega», a rompere la favola dei Fab Four portandosi via il principe azzurro delle liriche, John Lennon alla fine degli anni Sessanta. E a sentire la sua voce in una performance del 2010 al Moma, proprio in questi giorni incisa e rilanciata su Youtube sul brano heavy metal “Hammer Smashed Face” di Cannibal Corpse, viene proprio in mente Malefica quando urla di rabbia contro lo specchio che le rimanda l’immagine di Biancaneve. Ma che succede se poi la strega rompe questo specchio?

IL PERCORSO
Si può scoprire in un mostra che si chiama proprio “One day I broke a mirror”, Un giorno ho rotto uno specchio, nuovo appuntamento del ciclo “Une” all’Accademia di Francia a Roma, ideato dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e curato da Chiara Parisi. Dal 5 maggio al 2 luglio le opere dell’artista, principalmente quelle del decennio 1960-1970, dialogheranno con le grandi tele di Claire Tabouret, classe 1981, acclamata rivelazione tra le artiste internazionali con i suoi corpi imballati, quasi corazzati. Due diverse generazioni e stile espressivo ma vicinissime sul piano della sensibilità, artistica e umana.

Così niente sette anni di guai, ma la consapevolezza che dietro alla maschera di questa provocatoria dark lady, dal volto di sfinge su un corpo da irriducibile teenager, da sempre in prima fila contro la guerra, per la pace e la salvezza del mondo, c’è una protagonista dell’arte mondiale, pluripremiata, che ha superato da tempo l’ostracismo e la perfidia dell’etichetta «la più famosa artista conosciuta, perché nessuno sa cosa ha veramente fatto». Detta anche dal marito ma con tutt’altri sentimenti. 

Per i detrattori sarà sempre la vedova di John Lennon - e qui a Villa Medici, all’ingresso della Loggia, ci sarà la targhetta “Nutopian Embassy” del Paese immaginario fondato dai due artisti per porre fine ai problemi di immigrazione del musicista - o la raffinata furbetta che inventa performance a sfondo sessuale più per scioccare che per far realmente pensare. Come vuole fare invece il video “Freedom” (1970) girato al rallenty, in cui si mostra Yoko Ono nell’atto di strappare il reggiseno che indossa quale incitazione a liberarsi della costrizione dei legami sociali. Un’eco di “Cut Piece” (1965) performance nella quale l’artista seduta al centro della Carnegie Hall di New York permette agli spettatori di tagliare a brandelli i propri vestiti.

IDEE
Ingrid Pfeiffer, curatrice di una retrospettiva nella Grande Mela, sottolineò: «La sua arte non usa oggetti ma idee». E Michael Kimmelman, capo critico d’arte del New York Times, scrisse: «L’arte di Yoko Ono è uno specchio». Ma rompere lo specchio significa passare attraverso e oltre. Rompere anche la barriera tra artista e visitatore. Tra “istruzioni”, coinvolgimento del “caso” ed esperienze sensoriali - dall’eredità del movimento Fluxus nel solco della ricerca di John Cage - la personalità multidisciplinare di Yoko Ono si manifesta a Villa Medici proprio con la partecipazione del pubblico stesso. Nel cuore del giardino “Play it by Trust” (1966) invita tutti a muovere le pedine bianche di una grande scacchiera, mentre sui “Wish trees” (1966) si possono lasciare i proprio desideri. E ancora artisti saranno coinvolti in “Water event” mentre sul Muro Torto e sul Pincio i passanti scopriranno “Billboard” della Tabouret. 

Così mentre la giovane artista tra le sue 40 opere inedite propone “The Team” dove sette donne sono immobilizzate da un unico drappo, Yoko Ono riedita una performance iconica “Sky piece for Jesus Christ” (1965): il giorno del vernissage, il 4 maggio, per i Giovedì della Villa, curati da Cristiano Leone, a Villa Medici saranno i musicisti della JuniOrchestra dell’Accademia di Santa Cecilia a essere avvolti con delle garze fino a essere immobilizzati.

Quasi un gioco tra le due artiste, una forza solidale che si sviluppa sui temi cari ad entrambe: la pace e l’arte. E naturalmente la donna. A 79 anni Yoko Ono posò in reggiseno e pantaloncini con un fisico invidiabile per Vogue: «Come ho fatto? Sono un’artista- disse- ho recitato una parte». Viene in mente lo slogan femminista “Né strega, né madonna: solo donna”. Ma non è solo una donna quella che proprio l’altro ieri a Central Park prendeva il sole su una sedia a rotelle mostrando tutta la fragilità dell’età conquistata, 84 anni compiuti a febbraio. Nello sguardo il fuoco di una pioniera dell’essere. Strega, donna, persino paradossalmente geisha, nella semplice etimologia giapponese della parola che unisce gei-arte a sha-persona. Una persona che si dedica all’arte, la traduzione di Yoko Ono. 
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