Al voto con questa legge: più eletti a M5S e leghisti, ma maggioranza lontana

Al voto con questa legge: più eletti a M5S e leghisti, ma maggioranza lontana
di Diodato Pirone
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Giovedì 3 Maggio 2018, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 08:12
Se si andasse a rivotare a giugno gli equilibri parlamentari complessivi non cambierebbero. Secondo la media degli ultimi sondaggi il partito che potrebbe conquistare una ventina di seggi in più fra Camera e Senato sarebbe la Lega di Matteo Salvinisi che nella quota proporzionale salirebbe da circa il 17% al 21/22% e potrebbe contare su 142 deputati e 63 senatori.

Anche i Cinquestelle arrotonderebbero il loro bottino di seggi di una quindicina di posizioni portandosi attorno a quota 350 parlamentari fra 235 deputati e 114 senatori. Un ottimo livello per entrambi i partiti ma del tutto insufficiente a formare una maggioranza in nessuna delle due Camere. Il polo di maggior consistenza, ovvero il centrodestra composto da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, arriverebbe a quota 269 deputati contro gli attuali 262 poiché l’avanzata della Lega sarebbe parzialmente compensata dal possibile lieve calo di Forza Italia.
A poco varrebbe a migliorare le fortune del centrodestra la pattuglia di una decina di eletti nelle formazioni centriste che oggi si collocano nei Gruppi Misti.

LA SIMULAZIONE
Poco cambierebbe anche a sinistra con il Pd che - sempre nei sondaggi - viene dato in lieve arretramento mentre il discorso cambierebbe radicalmente per Liberi e Uguali che ad oggi viene data sotto quota 3% e che pertanto non tornerebbe in Parlamento dove oggi può contare su 14 deputati e 4 senatori.
E’ bene sottolineare che questa simulazione non offre certezze. Com’è noto i sondaggi fotografano gli equilibri passati e dunque non possono rispecchiare le scelte effettive che gli elettori compiranno in futuro. Inoltre circa il 5% di chi va a votare, si tratta grosso modo di circa 1,5 milioni di italiani, decide il proprio voto all’ultimo minuto spesso nel tragitto da casa al seggio elettorale oppure nella stessa cabina.

E tuttavia, se i dati riportati non vano presi nel dettaglio come oro colato, la loro tendenza complessiva è chiarissima: gli italiani restano divisi in tre poli con quello di sinistra (sommando Pd, alleati Pd e Leu) intorno al 25% e gli altri due ben oltre il 30% con una predominanza del centrodestra che sfiora il 38%. 
Con questi dati questa legge elettorale, per due terzi proporzionale, non consente la formazione di una maggioranza netta. A dire il vero una maggioranza sarebbe assai difficile anche con il Mattarellum, la legge che assegnava il 75% dei seggi con il maggioritario uninominale, perché gli eletti si dividerebbero, sia pure con peso diverso, fra tre poli e non fra due.
Inutile parlare del Porcellum, la legge elettorale che assegnava un premio di maggioranza allo schieramento più votato, con la quale abbiamo votato nel 2006, 2008 e 2013 e che in quest’ultima occasione non fece emergere maggioranze al Senato e che comunque è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta.

EFFETTO TRIPOLARE
Secondo molti osservatori non è vero che sia questa legge elettorale ad impedire la formazione di una maggioranza, quanto il combinato disposto fra la legge Rosato, in gran parte proporzionale, e la presenza di tre poli elettorali. C’è chi pensa, ad esempio il professor Roberto D’Alimonte, considerato fra i massimi esperti italiani di leggi elettorali, che l’ escamotage per uscirne sia il sistema elettorale francese che prevede un doppio turno con ballottaggio non solo per i parlamentari ma anche per il presidente della Repubblica. Per l’Italia il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo sarebbe un passaggio di portata epocale.

In ogni caso il ballottaggio comporterebbe, come era stato previsto dalla riforma costituzionale bocciata dal referendum, l’esistenza di una sola Camera con poteri legislativi. Un passaggio logico perché con due Camere paritarie il ballottaggio potrebbe far nascere parlamenti con due maggioranze diverse.
Che il sistema politico istituzionale italiano sia in affanno non è una novità. Basti pensare alla drammatica impasse intorno all’elezione del Capo dello Stato nel 2013 che fu superata solo dalla disponibilità di Giorgio Napolitano alla rielezione. C’è da scommettere che solo un’emergenza ci costringerà a metter mano a questa materia.
 
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