Virginia Vallejo, ex volto della tv colombiana ed ex amante del dei narcos: «Il mio Pablo Escobar così amato, così odiato»

Virginia Vallejo, ex volto della tv colombiana ed ex amante del dei narcos: «Il mio Pablo Escobar così amato, così odiato»
di Michele Neri
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Venerdì 16 Marzo 2018, 01:02 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 14:57
Nel luglio del 2006 un’elegante signora cinquantasettenne arriva a Miami, scortata dagli agenti della Dea che l’hanno prelevata a Bogotá. Anche se le sette valigie con cui viaggia, piene di vecchi capi di Armani e Chanel, raccontano di un passato regale, in tasca non ha che due quarti di dollaro, insufficienti a comprare uno spazzolino da denti.

Lei è Virginia Vallejo, volto della tv colombiana, nota per essere stata l’amante del più efferato criminale dell’America Latina, Pablo Escobar, il boss di Medellín. Gli americani l’avevano acciuffata in tempo. Aveva accusato il politico Alberto Santofimio di essere il mandante dell’omicidio di un candidato alla Presidenza, Luis Carlos Galán, ed era pronta a rivelare altre complicità governative con il narcotraffico. In Colombia rischiava la vita.

Inizia così Amando Pablo odiando Escobar (Giunti, 480 pagg. 18 €), l’avvincente bestseller mondiale, dal 21 nelle librerie, in cui Virginia Vallejo descrive i suoi più che arrischiati cinque anni con il re di coca – un giorno il settimo uomo più ricco del mondo – e di cui ci parla in esclusiva l’autrice. Dopo una vita prima nel jet-set, poi costretta alla fame, è contenta di un’esistenza “normale” a Miami, protetta dal governo statunitense.

Quando, nel 1983, s’innamorano, hanno entrambi trentatré anni. Lei ha due mariti alle spalle, è una bellezza. S’incontrano nell’Hacienda del patrón, tra zebre ed elefanti importati illegalmente dall’Africa. Virginia Vallejo s’immerge in un fiume: rischia d’affogare quando Escobar, unico tra i presenti, intuisce e si getta a salvarla.

Come l’ha conquistata?
«Amavo il suo coraggio nell’affrontare l’establishment, che prima lo derideva e poi si sdraiava ai suoi piedi. Lui mi adorava, per quello l’ho amato; ero educata, ricca, potevo scegliere chiunque, ma io volevo una vita avventurosa, non convenzionale e con lui era così. Diventò lo specchio in cui vedere il mio coraggio».

Nel libro non manca la passione e poi l’odio più feroce per lui, orchidee e violenze, ma è soprattutto il ritratto di una spaventosa mente criminale. Com’è riuscita ad amarlo?
«All’inizio apprezzavo quello che faceva dei soldi guadagnati con la droga. Si sentiva come Simón Bolívar: aiutava la sua gente a Medellín. Quando incontrai quest’uomo, piccolo, brutto, sembrava possedere un cuore d’oro. E quando stavamo insieme, non era ancora diventato un terrorista».

Era al corrente di ciò che faceva Escobar?
«Mai prima che lo commettesse. Lui non confessava niente a me, ma mi metteva nella condizione di ottenere il materiale per poi tessere la sua storia. Voleva che fossi la sua biografa, anche per questo mi forzò a restare in Colombia, così che avrei visto l’orrore di cui era capace».

A 25 anni dalla sua morte, la leggenda di Escobar è diventata un business. I narco-turisti spinti A Medellín da Narcos di Netflix, trovano magliette con l’effigie del boss accanto a quelle con papa Francesco. È l’eroe di romanzi, film, serie di successo. In che cosa differisce il suo resoconto?
«Gli altri sono tutti pieni solo di pallottole e dinamite. Se non fosse stato per il mio libro, i dittatori del mio Paese avrebbero potuto continuare a raccontare la solita storiella: da una parte c’erano i malvagi trafficanti, e dall’altra i bravi funzionari dello Stato. Io descrivo sia l’odio nei suoi confronti che la corruzione di tutto il potere. Il primo a leggerlo è stato Gabriel Garcia Márquez: ne ha lodato contenuto e stile».

Com’è riuscita a mantenere un distacco?
«Nel nostro amore non era inclusa la complicità. Se pensa alle mogli di presidenti o di uomini ricchissimi, loro sanno tutto quello che passa nell’animo dei mariti e così diventano silenziose, invisibili. Lui aveva moglie e figli, io non ero sposata con lui, potevo sempre andarmene. E ho quindi osservato tutto da giornalista».

Il 19 aprile uscirà in Italia il film “Escobar-Il fascino del male” con Javier Bardem e Penélope Cruz. È ispirato al suo libro. Cosa si aspetta?
«Credo che abbiano dato più spazio all’amore che a corruzione e scandali. Spero di non avere la stessa parte che mi hanno dato in Narcos».

Perché?
«È spazzatura».

Escobar aveva altre amanti, l’ha picchiata: ma nel libro sembra averlo perdonato.
«Io lo odiavo. Alla fine mi aveva preso tutto, anche pagine dei miei manoscritti e gli ultimi 30 mila dollari, per non farmi scappare. Per scriverne, ho dovuto però perdonarlo; se non altro per la storia pazzesca che mi aveva lasciato».

Tra le informazioni che lei aveva, quali hanno contato di più?
«Quelle sull’assedio, nel novembre del 1985, al Palazzo di giustizia di Bogotá. La corresponsabilità del governo e dei servizi nell’eccidio di un centinaio di persone, inclusi giudici e innocenti funzionari. Dopo il libro, il caso è stato riaperto».

Ha pagato un prezzo per il suo rapporto con Escobar? 
«Dopo il 1987 non l’ho più visto, ma nessuno mi voleva più far lavorare in televisione. Avevo contro sia lui che i suoi nemici».

E per le rivelazioni?
«Nel 2009, mentre andavo a deporre al consolato, hanno cercato di uccidermi. Nel giugno del 2010, anche per essere stata oggetto di milioni d’insulti e attacchi sul web, il governo americano mi ha concesso lo status di rifugiato politico. Vivo in un limbo, senza passaporto e cellulare. Se torno in Colombia, mi fanno a pezzetti».
Come passa il tempo?

«Sto scrivendo due libri. Uno sulla mia vita prima di Pablo. L’altro su come l’industria creata da Escobar abbia stravolto un continente. E sono ancora bella, grazie a Dio».
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