Veronesi torna in libreria con Terre rare: «Il mio caos ancora di scena»

Veronesi torna in libreria con Terre rare: «Il mio caos ancora di scena»
di Paolo Di Paolo
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Martedì 14 Ottobre 2014, 23:41 - Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 14:22
Torna dopo quasi dieci anni il protagonista di Caos calmo. Sandro Veronesi lo ha riconvocato in Terre rare, il romanzo che esce oggi da Bompiani: Pietro Paladini adesso vende macchine, ha cercato di dimenticare i traumi del passato (compresa la propria vedovanza: ma ci è riuscito davvero?), sua figlia è cresciuta e si allontana, e più in generale il Caso sembra congiurare contro di lui.



Tutto pare andare a rotoli, ma Pietro resiste, ed è lui stesso, in prima persona, a raccontarlo. Con quella voce diretta, mossa, nervosa, tenerissima, a tratti elegiaca, a tratti carica di tutta la cupezza e il nervosismo di questi anni, quella voce che è lo stile di Veronesi. Capace di afferrare le verità del nostro tempo - e di svelarle - senza darlo troppo a vedere. Terre rare è un romanzo vitalissimo sulla vita quando si complica, su una crisi che è sempre privata prima di diventare pubblica, e sul passato che lavora sul presente (a volte contro). Non è vero, come diceva Moravia, che il passato non esiste. Si muove, muta e vive con noi.



Che cosa ha significato per lei far tornare un personaggio del passato?

«Quando finisci un romanzo, di solito, è per sempre. E così, per anni, non avevo più pensato a “Caos calmo”. Quando ho visto il film, qualcosa si è risvegliato: tutto ciò che scorreva sullo schermo mi andava benissimo, ma non era stato pensato da me. Considerato quindi che il romanzo del 2005 aveva un finale aperto, anzi apertissimo, ho deciso che Paladini poteva tornare. In realtà, ho cominciato a lavorare su un personaggio simile a Paladini, uno di noi, uno che sa cos’è la rettitudine ma si distrae e scopre che tornare sulla “retta via” è un bel problema. Mi sono reso conto scrivendo che questo personaggio non era semplicemente simile a Paladini, era proprio lui, e ho accettato la cosa».



Paladini è messo alla prova al punto da rischiare quasi di essere travolto...

«Come in “Caos calmo”, le avversità non lo trovano mai del tutto innocente. E in fondo è uno che può sopportare i guai in cui si caccia deliberatamente. Le persone più fragili, spesso, sono anche quelle più accorte, cercano di proteggersi. Paladini non si protegge, ma forse perché in fondo sa che può farcela a non soccombere, a non sparire».



I nove anni di “Caos calmo” sono anche nove anni di vita in più del personaggio, che nel libro non sembra intenzionato a raccontare tutto.

«“Terre rare” è anche o soprattutto un romanzo sulla rimozione. I nove anni che Paladini ha cercato di rimuovere - il suo “non detto” - torneranno nel suo presente in modo imprevedibile. Lui sperava di essersi liberato di molte cose, ma tutto invece riaffiora, torna a galla: nel tempo passato e taciuto c’è il nucleo di molti suoi guai e anche la loro spiegazione».



Paladini racconta in prima persona, e la ripresa di questa voce narrante è il filo più forte che lega “Terre rare” a “Caos calmo”.

«Sì, tutta la storia la conosciamo perché ce la racconta lui. Forse si può dire che è proprio la voce di Paladini la vera protagonista del romanzo. Per chiudere definitivamente con il personaggio, quindi, non ho fatto morire lui ma la sua voce sì. Il finale è delegato a un articolo di giornale, nonostante l'accusa di superficialità che all’inizio aveva mosso proprio ai giornali».



La figlia di Paladini è cresciuta, e nel romanzo si allontana da lui. Il rapporto padre-figli è ancora una volta un grande tema della sua narrativa.

«Il rapporto padre-figli è piuttosto una costante del romanzo borghese, e andando indietro nel tempo anche dell’epica classica. I protagonisti dei miei libri da figli diventano padri, scoprendo così le diverse ossessioni che questo cambiamento comporta. Nel mio primo romanzo mi sconvolgeva l'idea che un padre e un figlio potessero trovarsi così lontani (lì trasferivo la mia paura di figlio); in “Terre rare” la figlia di Pietro è a una distanza da suo padre tale che non riescono quasi più ad avere un contatto (qui ho trasferito la mia paura di padre). Per fortuna scrivere mi aiuta a domare le ossessioni...».



Come in “Caos calmo” e nei suoi libri in genere, sono sempre sorprendenti le digressioni. Da cosa nascono?

«Dalla mia passione per Victor Hugo. Mi sono laureato in architettura ma con una tesi su di lui. In Notre Dame de Paris, all’improvviso, partono digressioni su come avrebbe dovuto essere restaurata la cattedrale. Nella sua epoca d’oro, il romanzo era il luogo in cui tutti i saperi potevano trovare cittadinanza. Scrivendo un romanzo tutto si mescola al dolore, cosa che in un saggio non accade».



Come vanno lette le citazioni che aprono i capitoli?

«Suggerisco di non sottovalutarle. Magari aiutano, magari no. Diciamo che sono come chiavi lasciate sotto lo zerbino».



Paladini all’inizio del libro fa l’elogio del Messaggero...

«Sì, dice che sulla cronaca di Roma è imbattibile. Sottoscrivo. Sono nato a Prato e ho imparato a capire Roma attraverso Il Messaggero».
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