«Volete prendervi anche la mia giacca?»
La lunga notte del duello Tsipras-Merkel

«Volete prendervi anche la mia giacca?» La lunga notte del duello Tsipras-Merkel
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Lunedì 13 Luglio 2015, 23:44 - Ultimo aggiornamento: 14 Luglio, 00:07
dal nostro inviato

Alberto Gentili





BRUXELLES Come in ogni dramma che si rispetti, il duello decisivo avviene all’alba. Tra capi di governo sbrandati, sherpa accasciati, occhiaie lunghe come amache, Angela Merkel e François Hollande per la terza volta in quattordici ore di trattativa alle sei del mattino si stanno lavorando Alexis Tsipras. «Un massiccio waterboarding mentale», per dirla con una fonte della Commissione. Una tortura. Una di quelle usate dalla Cia negli interrogatori: secchiate d’acqua in faccia per dare il senso dell’annegamento al prigioniero.



ALEXIS E ANGELA La Cancelliera tedesca, grintosa come mai, determinata a incassare la piena umiliazione del leader di Syriza o in alternativa la Grexit, chiede che nel fondo di garanzia per i creditori - quello da 50 miliardi che Atene non ha e mai avrà - vengano incluse anche le banche greche. Tsipras impallidisce. Trema qualche istante (c’è chi dice per stanchezza, altri per rabbia), accasciato sulla poltroncina. Poi si alza e si toglie la giacca porgendola alla Merkel. «A questo punto», sbotta, «prendetevi anche questa...». E fa un passo verso la porta. Il francese Hollande impallidisce. Donald Tusk, il polacco presidente del Consiglio europeo, invece tira fuori (a sorpresa) gli attributi: «Tutti fermi. Da questa stanza non si muove nessuno». E la trattativa riprende. Merkel si attacca al telefono con Wolfang Schaeuble, per chiedere indicazioni. «E’ stato il potente ministro economico tedesco il vero convitato di pietra del vertice», fotografa uno sherpa italiano. E Tsipras si lessa il cervello al telefono con Atene. Urla, strepiti con i dissidenti di Syriza: «Dite che non votate l’accordo? Allora vi caccio!», lo sentono gridare, «ma non avete capito che qui vogliono il nostro scalpo? Un’umiliazione piena?». E poi, di nuovo rivolto verso Merkel, Hollande e Tusk: «Mi dispiace, ma non ho il mandato per vendere metà del mio Paese».



SCORRE IL SANGUE Insomma, diplomazia al bando. Nel summit più lungo della storia europea, ben 17 ore, all’ottavo piano di Palazzo Justus Lipsius corre il sangue. Quello greco a fiotti, ma anche qualche rivoletto di plasma tedesco. «Volevano l’uscita della Grecia dall’euro o la piena umiliazione di Tsipras. Non hanno ottenuto la prima e hanno incassato solo in parte la seconda», sintetizza un diplomatico belga. Invece prevale la linea della mediazione ma anche del rispetto delle regole, sostenuta da Hollande, Matteo Renzi, austriaci, lussemburghesi, irlandesi, portoghesi, spagnoli e dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.



La partita dell’Eurosummit inizia malissimo. Del resto l’Eurogruppo si è chiuso con Schaeuble che ha litigato con Mario Draghi: «Non prendermi per uno stupido». «Semplice scambio di vedute», minimizza la Bce. E la riunione dei capi di Stato e di governo si apre con una Merkel ringhiante. Tant’è, che poco prima della mezzanotte, Renzi lancia l’annunciato altolà ai tedeschi: «Se avete deciso di far fuori la Grecia, prendetevi la responsabilità di dirlo. Certo, il patto l’ha rotto Tsipras con il referendum, ma ormai ha mollato su tutto. E se si vuole davvero fare l’accordo, i margini ancora ci sono senza dover umiliare nessuno. Smettiamola di discutere perfino di quanti canali debba avere la tv greca. Ed evitiamo di chiedere ai greci l’impossibile, vale a dire privatizzazioni per il 25% del Pil. Noi in Italia negli anni Novanta abbiamo fatto il più grande piano di privatizzazioni della nostra storia e non siamo andati oltre l’11% del Pil. Quando è troppo è troppo».



STOP AND GOEd è a questo punto che Tusk rispolvera il metodo dei vertici a singhiozzo inaugurato da Jacques Delors. Vista la malaparata sospende il summit. E lo farà per ben tre volte. Scattano i bilaterali e il quadrilaterale Merkel-Hollande-Tsipras-Tusk. Il primo è inutile, con la Cancelliera che chiede il ritorno della Troika ad Atene, licenziamenti collettivi, e in appena 72 ore la riforma delle pensioni, del fisco e del lavoro. «Non bastano disegni di legge, tutto dovrà essere ratificato dal Parlamento di Atene», precisa. Insomma, la Cancelliera in tre giorni chiede mega-riforme che la Grecia non è riuscita a fare in dieci anni. «Se no non vedrete un euro di aiuti».



Il leader greco fa trapelare il suo sconforto: «Ci pongono condizioni umilianti e disastrose». All’una di notte i Diciannove ripartono con la seduta plenaria. Scompare dal documento l’ipotesi della Grexit temporanea, quella di cinque anni proposta da Schaeuble. In cambio, dopo aver protestato e resistito a lungo, Tsipras accetta il coinvolgimento nel piano di aiuti dell’odiato Fondo monetario internazionale. La contropartita: appare nella bozza del documento il prestito ponte per scongiurare il default. Draghi ci mette del suo, di fronte ai tedeschi che ancora lavorano sottotraccia alla Grexit insieme a Finlandesi, Paesi Baltici e dell’Est, il presidente della Bce avverte: «Attenti, i rischi finanziari sarebbero enormi». E se lo dice Draghi, che ha in mano l’arma del Quantitative Easing c’è da crederci.



Poi viene affrontato il tema del fondo fiduciario da 50 miliardi. Quello che spingerà Tsipras alle sei del mattino a offrire la giacca alla Merkel. Renzi prende la parola e si rivolge alla Cancelliera: «E’ insensato che la sede sia in Lussemburgo, quei soldi sono dei greci. La sovranità statale deve essere rispettata». Con lui i premier austriaco, quello portoghese e Hollande.



IL BLUFF DI RUTTE A questo punto Mark Rutte, il premier olandese, fa trapelare di avere avuto uno scontro con Renzi. Ma la delegazione italiana smentisce a stretto giro di posta: «Tra i due il clima è ottimo, probabilmente Rutte vuole apparire duro e cattivo davanti alla sua opinione pubblica e gli fa comodo far sapere di aver litigato con Renzi. Ma non è vero, i due hanno lavorato per rendere il testo del documento più accettabile all’opinione pubblica greca, togliendo la stroncatura delle misure adottate negli ultimi mesi da Tsipras».



LA VISITA DI HOLLANDE Giochi diplomatici e di comunicazione. Ma anche gesti di conciliazione. Come quello di Hollande che, alle tre del mattino, invece di imboccare il corridoio che conduce alla stanza della delegazione italiana, attraversa la terrazza del nono piano e bussa alla finestra dove ci Renzi, Sandro Gozi e il resto della squadra italiana. «C’è Matteo?», chiede il presidente francese. E quando Renzi gli va incontro, il francese aggiunge: «Come ne usciamo? Troviamo insieme una soluzione». Poi con Sapin e Désir, Gozi, Hollande e Renzi si mettono a studiare il modo per destinare i proventi delle privatizzazioni agli investimenti.



«Ma quello di Hollande», fanno sapere dalla delegazione italiana, «è stato soprattutto un gesto di distensione, dopo le critiche di Matteo al direttorio con Berlino. Un modo per riprendere il dialogo e trovare un filo comune». Alle sette del mattino la plenaria è ancora impantanata. Si litiga. Qualche premier, crollato con la testa sul tavolo, si desta di scatto. Tusk decide di fermare ancora la trattativa a diciannove. Merkel si mette di nuovo al telefono con Schaeuble.



Tsipras è intento a domare i ribelli di Tsipras. Poi tutti a limare il testo. Pochi minuti prima delle nove, il premier belga Charles Michel twitta: «Accordo!». E’ la fine della lunga maratona. Merkel si presenta in conferenza stampa stropicciata, scornata, acciaccata: «E’ stato un negoziato duro, su condizioni dure. Questo è il piano A, del piano B non c’è bisogno». Come dire: ammaino la bandiera della Grexit.
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