Terremoto in Nepal, il compagno di Gigliola: «Non ho potuto salvarla, l’ho baciata per l’ultima volta»

Terremoto in Nepal, il compagno di Gigliola: «Non ho potuto salvarla, l’ho baciata per l’ultima volta»
di Giovanni Sgardi
3 Minuti di Lettura
Martedì 28 Aprile 2015, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 00:11
«Senza Gigliola non lascio il Nepal. Adesso torno lassù, a Langtang, a riprendermela. A riprendere lei e Oskar. Un po’ è come se fossi morto con loro, gli amici di una vita. Fratelli. Ho fretta, lasciatemi andare». Così, da un satellitare di fortuna, si disperava ieri mattina da Katmandu Giuseppe “Pino” Antonini, lo speleologo di Ancona sopravvissuto al crollo della montagna spezzata dal terremoto.



IL CASOLARE SPAZZATO VIA

Apocalisse sul tetto del mondo. Gigliola Mancinelli, anconetana, medico rianimatore di cardiologia ed esperta di Soccorso alpino, è stata uccisa sul colpo. Antonini, con un istinto di sopravvivenza bestiale, seppur semi-sommerso dal torrente di rocce, è riuscito a liberarsi e estrarre dalle macerie i compagni di spedizione Oskar Piazza (vivo, ma poi deceduto), trentino, e il genovese Giovanni Pizzorni. Un eroe, ma lui non si dà pace. Per Gigliola, che lui stesso trent’anni fa aveva avviato ai segreti del cuore della terra, e per Oskar, che non ce l’ha fatta durante una notte allucinante, in una stalla all’aperto, nel gelo himalayano a 3.500 metri d’altezza. Mentre le vette tremavano e rimbombavano, sotto le spallate possenti del sisma.

«La valanga di ghiaccio e pietre ha frantumato parte del lodge e si è portata via Gigliola. Io e gli altri siamo rimasti sotto i detriti» ha raccontato ieri Pino ai parenti più stretti, aggiungendo quello che prima non era riuscito a dire per le difficoltà di comunicazione. È una ricostruzione inedita della tragedia degli speleologi quella di “Astigo” (elastico in dialetto anconetano) Antonini.



Sabato scorso il team era riunito nel rifugio di Langtang perché le condizioni meteo impedivano di aprire nuove vie di esplorazione delle cascate locali, scopo della missione di canyoning. «Travolto dalla frana, Pino aveva un braccio e parte della testa fuori dalla coltre di sassi - spiega il fratello Roberto Antonini -. Piano piano è uscito fuori poi, scavando a mani nude, ha liberato gli altri due compagni. Li ha portati in una piccola stalla e ha acceso un fuoco per tenerli al caldo. Il posto era stretto e fuori pioveva, così lui ha trascorso la notte in un rudere con altri nepalesi sopravvissuti».



HA COPERTO IL CORPO

Tenebre polari, il paese raso al suolo, morte ovunque. «Pino era scalzo - prosegue Roberto -. Ha scavato ancora e ha recuperato degli indumenti e degli scarponi». E all’alba si è messo alla ricerca di Gigliola, rapita dalla frana. L’ha trovata più in basso dal punto in cui lui era rimasto intrappolato con gli altri speleologi. Ha accarezzato il volto intatto, le ha dato l’ultimo bacio, ha pianto e fatto l’unica cosa che potesse fare: ha ricoperto il corpo con un telo e lo ha messo in sicurezza con delle pietre, perchè non venisse profanato dagli animali. Poi ha seguito Giovanni Pizzorni, che ha riportato la frattura del bacino, all’ospedale di Katmandu.

Qui si interrompe il filo diretto con la famiglia. Altri speleologi del Soccorso Alpino di Ancona, riusciti ad entrare in contatto con “Astigo”, spiegano che le successive frane avrebbero nuovamente sepolto i corpi di Oskar e Gigliola.



IL RECUPERO DELLA SALMA

Le indicazioni di Antonini, dalla capitale del Nepal, agli elicotteristi che sorvolano Langtang non sarebbero servite a individuare le salme. Di qui il dolore di Pino urlato dall’altro capo del mondo: «Senza Gigliola e Oskar non torno, non voglio lasciarli». Ieri sera la missione recupero non sarebbe ancora riuscita, anche perché la precedenza è ai feriti. La zona delle cascate di ghiaccio di Langtang, che Antonini stava esplorando per la terza volta, è l’epicentro del sisma. Un deserto di macerie. Di duecento persone che si trovavano nell’abitato, ne sarebbero sopravvissute una quarantina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA