Sorelline arse vive a Roma, l'intercettazione choc: «Si sono sciolte come una candela»

Sorelline arse vive a Roma, l'intercettazione choc: «Si sono sciolte come una candela»
di Adelaide Pierucci
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Venerdì 27 Luglio 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:56

L’intercettazione choc è agli atti del processo per la morte delle tre sorelline rom Francesca, Angelica e Elisabeth Halilovic: «Si sono sciolte come una candela». Avevano 4, 8 e 20 anni, sono bruciate vive una notte di maggio 2017, mentre dormivano nel sottotetto del camper di famiglia, parcheggiato fuori da un supermercato, a Roma. Sul banco degli imputati, Serif Seferovic, ventenne rom, accusato di triplice omicidio premeditato. Ieri, nell’ultima udienza del processo a suo carico, si è ritrovato a tradurre i dialoghi captati dagli inquirenti. Una frase pronunciata da suo padre Ejub, a pochi giorni di distanza dal massacro, ha riepilogato la fine atroce delle sorelline: «Si sono sciolte come una candela», appunto, mangiate dal fuoco, senza possibilità di scampo. Dormivano nel camper insieme agli otto fratelli, alla mamma e al papà, quando due bottiglie incendiarie hanno sfondato i finestrini. Gli altri componenti della famiglia Halilovic sono riusciti a mettersi in salvo, ma Francesca, Angelica ed Elisabeth sono rimaste intrappolate nella roulotte. 

LE TRADUZIONI
Nel processo a suo carico, Serif Seferovic, già nei guai per aver rubato la borsetta a Zhang Yao, la studentessa cinese poi travolta da un treno mentre inseguiva il suo rapinatore, si è ritrovato quasi a collaborare con gli inquirenti. Da giorni in aula c’era allarme per incongruenze nelle traduzioni delle intercettazioni riportate nelle perizie della Procura e del Tribunale. Le stesse frasi, avevano traduzioni opposte. Quelle dell’accusa - inutilizzabili dalla Corte d’assise - inchiodavano il solo imputato a processo, ossia Serif. Mentre quelle redatte dal consulente nominato dalla Corte, le uniche a far fede nel dibattimento, non traducevano alcuni passaggi chiave. Il rischio era che Seferovic – venendo meno le urgenze cautelari – potesse essere prima scarcerato e poi assolto. La pm Alessia Miele, allora, ha fatto convocare in aula l’interprete che per il collegio aveva tradotto il Khorakanè, il dialetto rom bosniaco. Ed è stata chiesta anche la collaborazione dei presenti.

Così, la madre delle tre sorelline, Mela Halilovic, si è ritrovata a tradurre. E anche Seferovic non si è tirato indietro: ha riportato con precisione anche le frasi autoaccusatorie. Serif, che in casa viene chiamato “Fantozzi”, ha riportato pure una conversazione tra i suoi genitori. Stavano parlando del rogo, quando già i sospetti degli inquirenti si erano concenti sulla famiglia Seferovic, per i recenti scontri avuti con gli Halilovic. Il padre dell’imputato, Ejub, è preoccupato: «Quella notte Fantozzi ha aperto le porte del camion e si è messo a dormire. Mi ha detto: “Ho ammazzato delle persone, si sono sciolte come una candela”». E la madre si dispera: «Ti giuro sulla chiesa, cosa abbiamo fatto? Abbiamo messo i nostri i figli in carcere? Era meglio che morivano...». Serif per ora è l’unico a processo, ma non era solo la notte del rogo. Per l’accusa, insieme a lui c’erano i fratelli Jonson, 16 anni, Renato, 23, (rifugiati all’estero) e la moglie di quest’ultimo, Nina, appena condannata a 20 anni per aver confezionato le molotov. In casa parlava anche il più piccolo della famiglia, 6 anni: «Voi le avete bruciate...», diceva.
 

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