Sergio Leone, trent’anni dopo si farà il western mai realizzato

Sergio Leone, trent’anni dopo si farà il western mai realizzato
di Gloria Satta
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Sabato 27 Aprile 2019, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 15:15

Il più bel regalo che potessimo fare a papà, il modo migliore per celebrarlo nell’anno del doppio anniversario: i 30 anni della morte e i 90 della nascita», dice Raffaella Leone, la figlia produttrice (in tandem con il fratello Andrea) del grande Sergio che il 30 aprile 1989 se ne andava ad appena sessant’anni, dopo aver consegnato alla storia del cinema sette film rimasti mitici: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il Buono il Brutto il Cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa, C’era una volta in America. E il “regalo” di cui parla Raffaella è Colt, il western concepito dal regista e mai realizzato: a Cannes, in pieno Festival (14-25 maggio), verrà annunciato al mondo che il film finalmente si fa, finanziato da capitali internazionali, dopo anni di tentativi andati a vuoto, entusiasmi, ostacoli, speranze.

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LA STORIA
Protagonista è una pistola che passa di mano in mano e dietro la cinepresa ci sarà Stefano Sollima, anche sceneggiatore con Luca Infascelli, Massimo Guadioso e un professionista americano. «Papà ebbe l’idea di Colt molti anni prima di morire, quando noi figli eravamo ancora piccoli», rivela Raffaella, «e a dire la verità non voleva farne un film: molto in anticipo sui tempi, pensava ad una serie tv». Perché proprio Sollima? «È l’erede di Sergio. Ha il suo stesso gusto del racconto epico e concepisce il cinema come qualcosa di grande, di mitico. Il suo stile crudo, realistico e sempre accompagnato dall’ironia, è affine a quello di mio padre. Ma Stefano saprà stravolgere il progetto originale e farlo totalmente suo».

L’ESPOSIZIONE
Leone nacque a Roma il 3 gennaio 1929 e in occasione del novantesimo anniversario della nascita un altro grande evento celebrerà il suo talento: la grande mostra C’era una volta Sergio Leone che, dopo il debutto alla Cinémathèque Française di Parigi nell’ottobre scorso, il 12 dicembre approderà a Roma, all’Ara Pacis, per rimanervi fino a Pasqua 2020. «In Francia abbiamo registrato 60 mila presenze, più di quelle che erano state contate all’esposizione su François Truffaut. Sinceramente, non mi aspettavo un entusiasmo così grande da parte del pubblico», spiega Gianluca Farinelli, il direttore della Cineteca di Bologna (che nel 2014 ha restaurato Per un pugno di dollari) e curatore della mostra, organizzata da Equa di Camilla Morabito. «Il talento di Leone è ancora conosciuto e amatissimo». La mostra si snoderà attraverso la retrospettiva completa dei film del regista (anche quelli da lui prodotti, come i cult di Carlo Verdone Un sacco bello, Grande grosso e Verdone, Troppo forte) fotografie, documenti, documentari, conferenze, oggetti, un libro. E, rispetto all’evento di Parigi, a Roma ci sarà una sezione nuova di zecca: «Sarà dedicata all’influenza esercitata da Leone sull’immaginario collettivo e sul lavoro degli altri registi come Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Ang Lee, Guillermo Del Toro e tanti altri», anticipa Farinelli mentre il BiFest di Bari si prepara a celebrare il padre di Sergio, il regista Roberto Roberti (nome d’arte di Vincenzo Leone).

I RUMORI
Una chicca: all’Ara Pacis verrà proiettato un filmato, mai visto, in cui Leone appare impegnato nella post-produzione di un suo film nel ruolo di rumorista. In epoca pre-digitale, era lui stesso a curare il sonoro: per rendere il galoppo dei cavalli indossava uno zoccolo sulla mano e la sbatteva sul tavolo, per rendere lo scorrere del fiume svuotava una bacinella d’acqua con il bicchiere. «Per lui il cinema era artigianato», dice il direttore della Cineteca di Bologna. È d’accordo anche Carlo Verdone: «Mentre il cinema spesso dimentica i suoi maestri, ancora oggi tutti amano Sergio», spiega il regista romano. «Ha avuto il merito di reinventare un genere, il western.
Ha messo il mito al centro di ogni sua storia e creato la maschera di Clint Eastwood, ha sempre pensato in grande: gli si rizzerebbero i capelli, se sapesse che i film oggi vengono visti sugli smartphone...». Aggiunge: «Io gli devo tutto. Se Sergio non mi avesse portato dai produttori Puccioni e Colajacomo non sarei mai esistito. E non avrei imparato ad essere sceneggiatore, regista e protagonista dei miei film». Quale cinema amerebbe, oggi, Leone? «Adorerebbe Tarantino», risponde Raffaella, «e le serie tv: hanno i tempi lunghi dei suoi capolavori. L’assedio di Leningrado, l’imponente progetto che aveva in mente prima di morire, l’avrebbe realizzato a puntate».

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