Il Seicento italiano, follia da re: alle Scuderie la mostra "Da Caravaggio a Bernini"

Il Seicento italiano, follia da re: alle Scuderie la mostra "Da Caravaggio a Bernini"
di Fabio Isman
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Domenica 9 Aprile 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 09:04
I potenti sovrani spagnoli hanno sempre avuto una grande sete, e bisogna capirli, dell’arte italiana. Per limitarci solo a due casi, Filippo IV ottiene, da Rubens, che l’aveva comprato, l’Autoritratto di profilo (immenso virtuosismo di specchi) di Tiziano; e, per avergli concesso il Principato di Piombino, Niccolò Boncompagni gli regala il Baccanale degli Andrii, pure di Tiziano, uno tra i capolavori sottratti di notte, a Ferrara, dal camerino d’alabastro di Alfonso d’Este, da Pietro Aldobrandini. L’artista di Pieve di Cadore era già il preferito da Filippo II: 49 sue opere sono a Madrid. I dipinti accumulati dai regnanti spagnoli sono divisi tra il Prado e il Patrimonio Nacional: quelli rimasti nei saloni, in alcuni monasteri, in famiglia; e da sempre, pressoché invisibili. Nel 2016, una prima mostra è stata organizzata a Madrid; ma, «per la prima volta fuori dalla Spagna», spiega Mario De Simoni, presidente di Ales, «tutte le maggiori del Seicento italiano» saranno esposte alle Scuderie del Quirinale, da venerdì al 30 luglio. La mostra, 60 quadri eccezionali, si intitola “Da Caravaggio a Bernini, capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni reali di Spagna” (a cura di Gonzalo Redìn Michaus, cat. Skira), e giovedì sarà inaugurata dal Presidente della Repubblica.

I RESTAURI
Un’indubbia attrazione è Salomé con la testa del Battista, di Michelangelo Merisi, eseguita a Napoli, probabilmente nel primo soggiorno. E proprio nella città flegrea, Filippo IV la rileva nel 1666, dalla collezione del viceré di Napoli Garcia de Avellaneda y Haro, conte di Castrillo: è uno dei forse duemila dipinti che egli acquista. E’ bellissimo: lo aveva già voluto Roberto Longhi, nella sua famosa mostra su Caravaggio del 1951; e lo è più ancora adesso, che è stato appena restaurato: «Si legge finalmente il modo in cui il carnefice impugna la spada, e se ne scopre un nuovo sfondo verdastro», continua De Simoni. Il medesimo tema è dipinto inoltre da Fede Galizia, ed è esposto. Restaurata di fresco pure La tunica di Giuseppe di Diego Velázquez, dipinta dopo il primo viaggio in Italia del 1629; dopo il secondo (1649) diverrà uno dei grandi ritrattisti pontifici: lo dimostra, per citarne uno, l’Innocenzo X nella Galleria romana dei Doria Pamphilij.

LE CONTROVERSIE
Le opere illustrano l’attrazione reale per tutta la pittura italiana: dalla Vocazione dei Santi Andrea e Pietro di Federico Barocci, dono a Filippo II dell’ultimo duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere, fino a Lucrezia che si dà la morte di Carlo Maratta, buona parte della cui collezione Filippo V acquista dalla prima figlia Faustina. Nel mezzo, il grande amore per Gian Lorenzo Bernini. E ne vediamo un modello di due metri, in bronzo dorato, per la Fontana dei quattro fiumi di Piazza Navona; ma anche un Crocifisso in bronzo e legno alto quasi due metri. Quando i reali riallestivano gli appartamenti, chiedevano opere italiane: Filippo IV, nel vecchio palazzo di Madrid, crea il “Salon nuevo”; e a Guido Reni domanda Il ratto di Elena. Ma quando egli lo realizza, tempo dopo, lo manda ai Barberini a Roma, e il re iberico lo trova troppo caro e «poco appropriato»; poi, cambia idea, ma è tardi: il quadro è venduto in Francia, a Maria de’ Medici, ed è al Louvre. Realizza pure un’Immacolata, che fa parte della raccolta, con La conversione di Saulo. E sempre a inizio del Seicento, lavorano su richiesta del sovrano Domenichino e Artemisia Gentileschi. Nel 1638, il re vuole un ciclo su Roma antica nel Cason del Buen Retiro: 28 dei quadri sono al Prado.

Caravaggio si ritrova, a Madrid e nella mostra, accanto a due opere del suo grande nemico, Giovanni Baglione (lui, lo chiamava “Gian coglione”); a Reni, il cui Saulo sembra una risposta ai dipinti del lombardo nella Cappella Cesari di Santa Maria del Popolo; ai Carracci; a Mattia Preti (San Girolamo); a Luca Giordano (Ebbrezza di Noè); al San Tommaso di Guercino; e ad altri, più e meno noti al grande pubblico. L’eccezionale Cristo Crocefisso di Bernini «è l’unica sua statua commissionata all’estero che abbia raggiunto la destinazione», spiega il curatore. E Filippo V teneva nello studio dell’Alcazar una riproduzione della Fontana di Piazza Navona alta un metro e 70 cm, con alla sommità, ovviamente, le armi di Spagna al posto di quelle del pontefice.

Tra gli ultimi atti di questa strana “cavalcata seicentesca” nelle opere italiane, e spesso romane, volute nei palazzi reali di Madrid, arriva Carlo Maratta (o Maratti): il re ne fa comperare tutte quelle che restavano agli eredi, a nove anni dalla morte dell’artista; per essere esatti, 124 quadri, e pagati a caro prezzo. Sì, l’Italia che dipinge, per i re di Madrid, era davvero una grande passione; e noi, forse, non dovremmo stupircene poi troppo, nella gioia di vedere queste opere, tutte assieme, come finora non era mai avvenuto.

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