ROMA «Diciannove minuti di “Wow”, “Nooo” e brusio ininterrotto. Ma dopo l’ultimo colpo di martello eravamo tutti ammutoliti», racconta Pepi Marchetti Franchi, direttore presso Gagosian che l’altro ieri a New York da Christie’s ha assistito all’asta del Salvator Mundi di Leonardo, insieme con Larry Gagosian, tra i più noti galleristi e collezionisti d’arte contemporanea al mondo, e un parterre da occasioni speciali, e immense possibilità economiche, che andava dalla moglie di Abramovich all’artista Gerhard Richter. «Colpi di scena e rialzi improvvisi», continua, «un’atmosfera assolutamente inedita per l’ambiente degli Old Masters. Ma persino per l’arte contemporanea. È rarissimo che si compri un’opera a più del doppio del valore precedente. Un investimento anomalo».
IL TOTO-NOMI
Un applauso liberatorio al momento dell’offerta vincente arrivata per conto di Alex Rotter, co-presidente del dipartimento di Arte contemporanea della casa d’aste, e poi il tam tam di voci sul misterioso compratore-Paperone. Una cordata di acquirenti? Bill Gates? «È stato uno dei tanti nomi a circolare, forse, per un suo antico interesse, dal Codice Hammer». Sembrerebbero esclusi i musei: «Molto difficile», aggiunge Pepi Marchetti, responsabile della sede romana di Gagosian, «che abbiano certe disponibilità economiche». Mentre il Louvre di Abu Dhabi, che pure ha fondi a dismisura, forse non sceglierebbe un dipinto con un carattere religioso. Una cosa sembra chiara: il mondo dell’arte è entrato nell’universo della finanza e le opere possono essere considerate al pari dei fondi d’investimento. «I consorzi per acquisti importanti esistono nel mondo dell’arte come in qualsiasi altro settore, ma è difficile che si trovi un accordo su una cifra così alta che consente pochi margini di guadagno. Poi, certo, può succedere di tutto, come si è appena dimostrato». «E comunque», conclude, «durante la stessa asta, è stato venduto un Cy Twombly del 2005 per 46 milioni di dollari. Pagare un Leonardo, forse l’ultimo, dieci volte tanto, non è poi un’assurdità». Le voci più insistenti parlano di compratori orientali, disposti a qualsiasi cifra e sensibili più al mondo delle aste, che a quello museale. L’operazione, che ha portato alla vendita record di oltre 450 milioni di dollari, è cominciata mesi fa con una passerella mondiale del capolavoro che ha viaggiato da San Francisco a Hong Kong, e un’esposizione nella sede della Grande Mela che ha richiamato 30mila visitatori e tantissimi vip come Di Caprio. «Uno studio di marketing», spiega Bartolomeo Pietromarchi, direttore di Maxxi Arte, anche a lui a New York per l’associazione di sostenitori del museo romano, «che ha trasformato il Salvator Mundi in un’icona pop. Neanche fosse Andy Warhol».
Da Vinci icona come Warhol: «Trasformato dal marketing ma è un acquisto anomalo»

di Simona Antonucci
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Venerdì 17 Novembre 2017, 00:50
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