Fuga dalla Madre Russia: è boom dell'emigrazione da Mosca

Fuga dalla Madre Russia: è boom dell'emigrazione da Mosca
di Giuseppe D’Amato
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Lunedì 12 Settembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 15:15
Uno dei Paesi più sviluppati che sta vedendo emigrare in massa i suoi “cervelli”, ma anche, nell’ultimo decennio, la seconda méta di immigrazione dall’estero dopo gli Stati Uniti. La Russia unisce contraddizioni incredibili. La pesante crisi economica, la guerra in Ucraina e l’isterismo anti-occidentale stanno influendo sulla demografia dell’ex superpotenza. Gli ultimi dati ufficiali disponibili sono chiari e ribadiscono trend consolidati da tempo. I russi stanno emigrando in un numero 5 volte maggiore oggi rispetto al primo mandato di Vladimir Putin, iniziato nel Duemila. E con loro pare inarrestabile la fuga di capitali. E’ la classe media - in particolare imprenditori ed intellettuali - che sta facendo le valige. Le méte più rinomate sono l’Ue, gli Stati Uniti ed Israele. Secondo un’agenzia specializzata ebraica, nel Paese di Davide il numero degli emigranti, provenienti da Russia ed Ucraina, è aumentato del 50% soltanto nel 2015. E con loro se ne stanno andando i cosiddetti “expat”, i “colletti bianchi” stranieri – a volte anche tecnici superesperti in qualche particolare settore. Stando ad alcune rilevazioni del Servizio di migrazione questo tasso speciale si attesta ad un meno 34%. Dal gennaio 2014 allo stesso mese del 2015 la comunità “expat” è passata da 1.137.000 a 746.580 unità. In particolare -31% tra i tedeschi, -36% tra gli americani, -38% tra i britannici.

LA CRESCITA
L’economia federale non cresce più del 7% annuo, anzi adesso è in piena recessione. Nei primi 4 mesi del 2016 -1,2% (certamente meglio rispetto al -3,8% dello stesso periodo del 2015). E l’inflazione veleggia intorno al 7,5%. Per la prima volta in 15 anni, nel 2015, il tasso di povertà è cresciuto: nei primi 4 mesi del 2016 si è attestato al 15,7% della popolazione, 22,7 milioni di persone. Il futuro prossimo rimane incerto. Così le grandi holding internazionali hanno richiamato il personale, poiché quello russo ha perso l’etichetta di “mercato strategico”. Alcuni degli impieghi degli esperti occidentali sono ora ricoperti da colleghi cinesi, sparsi tra Mosca, la Siberia e l’Estremo oriente. Tra il 2014 ed il 2015 il loro numero è aumentato del 40%. Anche la manodopera ex sovietica a basso costo ha ridotto la sua presenza. Tagichi, uzbechi e kirghisi continuano a lavorare in massa in Russia anche se la loro presenza è diminuita dal 2014 in media del 30%. Le ultime statistiche affermano che 10.986.721 stranieri vivono in Russia. I permessi di lavoro sono, però, crollati di circa l’80% rispetto ai tempi d’oro, segno che l’economia “ombra” avanza. Secondo le Nazioni Unite l’ex superpotenza rimane comunque nel Vecchio continente il maggiore generatore di rimesse verso l’estero, il secondo al mondo dopo gli Usa. Interi Stati ex sovietici dell’Asia centrale vivono grazie a questi soldi.

GLI OPPOSITORI
Tornando alle personalità russe in fuga, famosi sono i casi dell’imprenditore Pavel Durov (fondatore del sito Vkontakte), dell’economista Serghej Guriev, del campione di scacchi Garry Kasparov. Hanno lasciato il Paese anche la figlia di Boris Nemtsov, Gianna, impiegata presso la Deutsche Welle; la figlia dell’ex vicepremier Egor Gajdar, Maria, oggi vicegovernatrice della regione di Odessa e “braccio destro” dell’ex presidente georgiano Michail Saakashvili. Numerosi intellettuali, oppositori del Cremlino, sono riparati a Kiev. In Ucraina si parla russo e la loro visibilità è garantita dall’Amministrazione Poroshenko. «In Russia ogni persona che esprime opinioni differenti dalla linea ufficiale è in pericolo – sostiene Ayder Muzhdabayev, ex vicedirettore del quotidiano Moskovskij Komsomolets -. Il problema è profondo. Quella gente ha trasformato la popolazione in zombie, totalmente influenzata dalla propaganda. Inoltre non vengono più rispettati i diritti umani fondamentali».

Secondo i dati di Rosstat solo nel 2015 se ne sono andati a vivere all’estero 350mila russi. L’impennata si è avuta, alla fine del 2011, in concomitanza con la fine del tentativo di modernizzazione del Paese voluto dall’ex presidente Medvedev. Dottori, scienziati, insegnanti, specialisti di ogni genere così se ne vanno. La recente riforma sanitaria ha provocato solo nella regione di Mosca 7mila licenziamenti. «Dare ancora soldi a quelle sanguisughe?», dice Igor, imprenditore moscovita emigrato in Italia. Il livello di corruzione in Patria è insopportabile: il mercato si è ristretto, ma i collettori di tangenti vogliono sempre più rubli, meglio dollari. Se prima erano gli oligarchi a comprare ville all’estero, adesso è la classe media russa ad acquistare. «Laggiù non c’è futuro», prosegue sulla stessa linea l’ingegnere Kirill. Qualche tempo fa è stata la Corte dei Conti federale ad attestare che l’attuale fenomeno migratorio è pari come grandezze a quello registratosi dopo la Rivoluzione d’ottobre del 1917 (tra 1,5 e 2 milioni di emigrati). Le autorità, però, contrattaccano, affermando che il sistema di rilevazione è cambiato, quindi non c’è alcuna fuga. Ma intanto vi è allo studio il progetto di vietare agli alti funzionari di Stato (in Russia il 68% dei lavoratori è statale) di mandare i propri figli a studiare all’estero.

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