Roma, da Trinità dei Monti alla salita del Pincio, quelle scalinate che il mondo invidia

Roma, da Trinità dei Monti alla salita del Pincio, quelle scalinate che il mondo invidia
di Filippo La Porta
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Domenica 26 Giugno 2016, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 12:06
Roma non è solo la città dei sette colli, è anche la città delle cento scalinate. Alessandro Mauro si è immerso dal settembre del 2014 al febbraio del 2016 in una ricerca appassionata sulle rampe presenti nella capitale, poi ricontrollate minuziosamente su Google Maps. Ne è venuto fuori un libro utile e delizioso - “Se Roma è fatta a scale” (Exòrma) - che comprende 76 testi e un numero leggermente superiore di scalinate. Mauro è attratto dal fatto che, come i ponti, le scale congiungono due luoghi, e anzi fanno comunicare tra loro l’alto e il basso. La sua svagata flânerie urbana, soprattutto nel centro storico ma con qualche escursione più periferica, è ispirata da un amore per la città e i suoi angoli più appartati: Fori Imperiali e Via Giulia , Campidoglio e Ara Coeli, Rampa del Monte Aureo e San Pietro in Montorio, Isola Tiberina e Via della Lungara, Salita del Pincio e Scala Righetto, Monte dei Cocci… Proviamo a salire, un po’ a caso, su qualcuna di queste scalinate, facendoci accompagnare dai commenti di Mauro, dalla sua prosa lieve e trasognata, elegante e immaginativa.

LO SPETTACOLO
La rampa che scende da via Cavour e via Urbana si distribuisce in due scalinate gemelle e vi introduce alla Suburra, ovvero “zona abitata sotto la città”, i quartieri bassi: la “simmetria magrolina” dei pochi scalini è “il filo che lega il borgo alla metropoli e soprattutto viceversa”. In qualche caso invece una scalinata addirittura chiude una strada, via Pietro da Cortona al Flaminio, quasi un cortile, poco più di venti scalini, dove era ambientato l’epilogo di “Ladri di biciclette”, e dove oggi sono parcheggiate moltissime biciclette, a cui manca spesso qualcosa (un sellino, una ruota…). Mentre le otto rampe, e centoventi scalini, di via Ronciglione, a corso Francia, viste da lontano rivelano il volto dell’attrice Michele Mercier, dipinta da David Vecchiato (lì terminava la storia di un film da lei interpretato): spettacolo dentro lo spettacolo.

Dal cosiddetto Colosseo Quadrato all’Eur, Palazzo della Civiltà del Lavoro, scende poi una immensa gradinata verso via Romolo Murri dalla quale è stato possibile, tra l’altro, ascoltare Miles Davis in un lontano festival jazz. La conca che separa la Gnam da Villa Borghese sembra uno stadio, le cui tribune sono due grandi scalinate che si specchiano l’una nell’altra, intitolate a Bruno Zevi, che con Argan amava molto quel pezzo di città. Mentre due cassonetti dell’immondizia piantonano la scalinata che conduce ai giardinetti “spettinati” del pincetto della Garbatella, dove l’estate c’è il cinema all’aperto. La rampa di piazza Iside sale poi “come una punizione” e sembra sporgersi su un altrove frequentato da piccioni.

IL MISTERO
A volte lo sguardo dell’autore è lievemente straniante e suggerisce quasi una prospettiva nuova per monumenti arcinoti: ad esempio la celebre scalinata di Trinità dei Monti - centotrentacinque scalini - vista da vicino “è uno stato d’animo”, fatto di ozio, contemplazione e pagnottella, e qui Pavese scrisse i suoi versi: che “annusano l’odore della pietra e dell’aria mattutina”. Concludiamo il nostro breve tour con una scalinata particolare. Se da piazza San Cosimato, affaccendata e brulicante come un quadro di Brueghel, ti sposti su via Mameli verso il Gianicolo per incontrare degli scalini semisepolti da foglie calpestate, ti trovi davanti la Rampa del Monte Aureo, punteggiata da limoni verdastri e strane meteoriti: un “puro ingresso nel mistero”, la nostra ascesa a Machu Picchu, o il viaggio di Alice oltre lo specchio. 

L’AVVENTURA
Ecco, probabilmente il fascino di ogni scalinata romana consiste in un senso di avventura e mistero: ci porta verso l’alto e verso l’oltre, ma non sappiamo mai bene verso dove. Potrebbe schiudere universi sconosciuti, trasportarci perfino in un’altra città. Oltre vent’anni fa Nanni Moretti aveva girato un corto esilarante - un cinegiornale proiettato al Nuovo Sacher - in cui lui sulla rampa di San Saba, con la radio a volume alto per non farsi sentire, spiegava a un interlocutore che il potere mediatico (allora) di Maurizio Costanzo era immenso, pervasivo, quasi “orwelliano”. La scalinata diventa così spazio semiclandestino e catacomba romana all’aperto, un imprevisto samizdat della comunicazione, un prezioso non-luogo sottratto a qualsiasi controllo e censura, nel quale si esprime il dissenso. A volte una scalinata può condurre verso la libertà di pensiero.


 
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