«Roma, terribile e segreta», Edoardo Albinati parla del suo romanzo “La scuola cattolica”, favorito per il premio Strega

«Roma, terribile e segreta», Edoardo Albinati parla del suo romanzo “La scuola cattolica”, favorito per il premio Strega
di Andrea Velardi
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Venerdì 17 Giugno 2016, 00:24 - Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 19:35
La Scuola Cattolica di Edoardo Albinati è al primo posto della cinquina del Premio Strega e l’autore è già impegnato in una maratona di appuntamenti tra cui spiccano il Festival di Massenzio a Roma il 21 giugno e le Conversazioni del Festival di Spoleto con Paolo Mieli il 26. Sin dal suo apparire il romanzo è stato investito dall’aura di vincitore annunciato, ma, aggiungiamo noi, proprio perché si presenta come il grande romanzo italiano di questi ultimi anni. La rievocazione della scuola del San Leone Magno nel Quartiere Trieste di Roma si intreccia con il delitto del Circeo compiuto da tre giovani che provenivano da quell’ambiente ed è immersa in una continua riflessione sulla fenomenologia della vita familiare e sulla affastellata, contraddittoria psicologia dell’Italia borghese.
Al convegno per i 70 anni dello Strega è emerso un identikit del libro vincitore.

La scuola cattolica non è un romanzo tradizionale, è anche un ricchissimo Zibaldone di riflessioni sulla realtà.
«Il mio è certamente un libro sui generis. Si chiama romanzo perché questo genere ha una sua elasticità intrinseca, è accogliente. Il mio tentativo è stato quello di raccontare pensando e pensare raccontando. Ho provato a mettere in esecuzione questo programma narrativo».

Il 26 giugno sarà al Festival dei Due Mondi di Spoleto per le conversazioni di Paolo Mieli. In questi anni la rassegna ha trovato una nuova vita attraverso una contaminazione dei linguaggi, dell’offerta, dei canali di comunicazione. Questo mix può riavvicinare il romanzo al grande pubblico?
«La contaminazione è una strada, ma non deve azzerare lo specifico della letteratura. Io credo che nell’attuale offerta di intrattenimento il romanzo non debba rincorrere l’immediatezza dei prodotti di consumo più ampio e debba avere qualcosa di diverso dal genere televisivo, giornalistico, cinematografico. Il romanzo è qualcosa di specifico e di insostituibile. È un universo di parole messo insieme in un modo inimitabile. La letteratura è un prodotto di nicchia e non si deve farla diventare una forma di intrattenimento popolare. La più bella definizione di letteratura è quella di Flannery O’Connor: parlare di persone che non esistono a persone che non esistono».

Il libro intreccia il tema della educazione a quello della religione, della famiglia. Espone la tensione tra polarità contrastanti come perbenismo e dissacrazione, religione e ipocrisia, sessuomania e sessuofobia. A volte lo sguardo è talmente totale da non capire cosa si stia salvando dal magma. Per esempio le è stato rimproverato di dissacrare una certa identità culturale del nostro paese. Qual è la sua posizione più schietta?
«Io penso che se si toglie la radice cattolica al nostro paese non resta nulla. È normale che dal mondo che descrivo emerga una certa irriverenza. Perché nella scuola cattolica c’è la presa in giro dei professori, la crudezza boccaccesca di certe situazioni. E perché io, come dici, abbraccio la totalità, quindi in qualità di narratore abbraccio tutte le posizioni e le elaboro con sguardo equanime, empatico. Faccio mia la massima di Santa Teresa: io accetto tutto».
 
A proposito di questo sguardo andiamo al delitto del Circeo che giunge al capitolo dieci del romanzo generando una duplice impressione. Da una parte si ipotizza che il racconto della scuola cattolica abbia voluto cercare le cause del delitto nel retaggio moralistico ipocrita di una certa classe sociale. Dall’altra sembra che l’aberrazione emerga per caso, come la banalità del male di cui parla la Arendt. Ma il male espresso da Guido, Izzo e Ghira non ha una sua intollerabile profondità? 
«Sono delle connessioni che deve stabilire il lettore. Non voglio esplicitarle. E molto si era già detto sulla connessione tra mostruosità del delitto del Circeo e ipocrisia borghese. Il male ha una gamma ampia di espressioni, mentre il bene è più essenziale e semplice. In alcuni casi il male ha una sua grandezza satanica che è quasi oggetto di attrazione, in altri è pura meschinità. Nel delitto di cui parlo c’è solo la seconda. Ecco perché non ho voluto fare un libro solo su questo. È stato detto che questo evento mostruoso è come un magnete, un giacimento radioattivo sepolto sotto tonnellate di roccia mentre fuori c’è un paesaggio che è quello che io racconto. Il paesaggio non sembra influenzato e turbato da nulla, ma qualcosa opera in segreto. È il risentimento borghese che sta dietro all’aberrazione. Nulla è più forte di questo sentimento la cui potenza è tale da sbaragliare qualsiasi cosa. Se si scatena rende il borghese implacabile nella sua azione distruttiva. Per questo ne parlo molto nel libro».

Come il legame profondo tra sessuomania e sessuofobia che viene approfondito molto nel libro.
«Che alla fine sono la stessa cosa. Come la strage di Orlando insegna».
 
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