Roma, odissea sul bus 63: se non va a fuoco tre ore di calvario

Roma, odissea sul bus 63: se non va a fuoco tre ore di calvario
di Simone Canettieri
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Giovedì 10 Maggio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 08:21

Prima bisogna sperare che passi, poi si può pregare che non prenda fuoco. O, per andare a filo di statistica, che non si pianti sul più bello. Al capolinea del 63, l’autobus che si è acceso come una torcia olimpica in via del Tritone, sembra tutto molto neorealista. Un po’ ci pensa la toponomastica (via Rossellini, zona Talenti), al resto l’ambiente: un parcheggio immerso nel niente. Due bagni chimici rossi, erba da foresta pluviale sui marciapiedi, crateri per terra. E, lampo di civiltà, una paletta dell’Atac arrugginita. Sta qui per ricordare a tutti che il giorno dopo le «fiamme e il botto», l’indignazione e l’ironia, può succedere di tutto. Tipo: quasi tre ore per arrivare a destinazione.

LA PARTENZA
Alle 10.40 ci sono solo Anna Pozzebon (dipendente dell’Agenzia delle Entrate) e Leonardo Capuozzo (medico-radiologo). Non si conoscono, ma si cercano con gli occhi. Aspettano entrambi Godot: il «fiammeggiante 63», in fumo anche lo scorso gennaio. L’umore di questa coppia di condannati varia con il passare del tempo. Si va dallo scherzo («Servirà una tuta ignifuga?») alle riflessioni più serie («L’unica soluzione è privatizzare il servizio»). Intanto, nisba. Questo parcheggio alla fine della Nomentana, periferia della Capitale, è un ponte lanciato verso l’attesa. Fino a quando spunta da dietro una curva, caracollando ubriaco sulle buche, un autobus. Sì, è lui. Eccitazione generale (tre persone in tutto). Ma è «fuori servizio». C’è scritto così sul display. Ma come? «Ahò, ho trovato traffico, dovevo staccare alle 11.24, ho già fatto 14 minuti di straordinario non pagato, sto andando al deposito», spiega ruvido l’autista. Timida protesta: «Qui c’è gente con una vita». 

A mezzogiorno, la svolta, questa volta niente scherzi. Racconta quest’altro autista per rincuorare la truppa: «Anche questo mezzo ha 16 anni come quello scoppiato, purtroppo nell’ultimo mese ho avuto sei guasti». Sei guasti in un mese? «Eh, sì: i freni che strappano, l’idroguida rotta, il cambio che ti rimane in mano». A bordo nessuno pensa a un bis, come quello di via del Tritone. Non esiste un day-after, ma una perenne prima volta.
Il biglietto non si oblitera, ma chi sale, a sua volta vittima di una lunga attesa, si fa largo con un «vergogna».

Anziani, un gruppetto di rom, immigrati nordafricani e asiatici, due suore, un ragazzo con gli occhi provati da non si sa cosa. Pochissimi, i giovani. Non si sente puzza di bruciato, bloccati nel traffico. In compenso si sprigiona un discreto olezzo. «È il parfum dell’Atac» che impone un senso di espiazione. Aria di suk. Si sbuffa e si guarda l’orologio del cellulare, si parla sottovoce. «Questo numero ha fatto fuoco», racconta Ivona, colf romena. Il brusio della rassegnazione produce la preghiera dei forzati del trasporto pubblico di Roma. La minoranza italiana produce pensieri così: «Bisogna scappare da questa città». Oppure: «Bisogna mettere il servizio a gara». Dalle parti del quartiere Trieste, scatta anche il “momento Sorrentino”.

IN CENTRO
L’autobus incrocia un altro 63 che procede lento nel verso opposto: i due autisti si danno il cinque sporgendosi dal finestrino, con un involontario sorriso canagliesco. «Sembriamo deportati», racconta l’unica cravatta incontrata finora. Si scende e si sale. Passo d’uomo. Via Veneto, piazza Barberini. Ci siamo. Cambia la popolazione: turisti, impiegati verso la pausa pranzo (già), buste della spesa. Ecco via del Tritone, il traffico. Si scende ancora fino al palazzo bruciato e annerito, monumento alla Roma caduta.

Impegnata a condurre una guerra a se stessa. Il 63 si ferma proprio lì davanti. L’odore acre della plastica bruciata entra ancora nelle narici. Alle 13.20 si tirano le somme. È andata bene. Niente fuoco, né paura. E nemmeno il settimo guasto. Il cronometro dice: 2 ore e 45 minuti per nove chilometri. Si capisce perché chi governa questa Capitale mediorientale non prenda mai gli autobus: correrebbe ben altri pericoli. Si consiglia l’elmetto, casomai. 

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