Roger Waters all'esordio come regista: «The Wall, la mia vita in un film»

Roger Waters all'esordio come regista: «The Wall, la mia vita in un film»
3 Minuti di Lettura
Giovedì 26 Novembre 2015, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 21:16
C'è un muro che non si riesce ad abbattere: The Wall, doppio album dei Pink Floyd datato 1979 portato di nuovo in tour dal suo creatore Roger Waters attraverso una serie di concerti sempre esauriti. Da Buenos Aires a Parigi. Ma c'è di più. Il settantaduenne bassista, separato ma meno in tensione rispetto al passato con gli ex membri del gruppo Nick Mason, Richard Wright e David Gilmour, ha deciso di esordire come regista. Dopo aver fatto arrabbiare Stanley Kubrick ed essere quasi arrivato alle mani con Alan Parker, Waters è passato dietro la macchina da presa, in compagnia di Sean Evans, per Roger Waters The Wall (dal 2 dicembre disponibile in home video anche in Italia). Si tratta di riprese splendide di quei trionfali concerti di un album vecchio trentasei anni alternati a un eccezionale viaggio in macchina di Waters in Italia per commemorare la morte del papà.

Mr. Waters perché è venuto nel nostro paese per filmare il suo primo film?
«Perché The Wall nasce da quello che è successo a mio padre. Oggi lo so. Ero già stato al Cimitero di Guerra di Cassino ma mai sulla spiaggia di Anzio dove mio padre sbarcò per combattere e morire».

Nel documentario la si vede anche piangere leggendo la lettera che sua madre ricevette in cui la avvertirono circa la sorte di suo marito. Come è riuscito a realizzare una scena così forte?
«Ho avvertito il coregista Sean Evans che all'improvviso avrei letto quella lettera su cui non posavo più gli occhi da circa dieci anni. Non avrebbe avuto alcun senso girare più di un ciak di quel momento. E' stato straziante».

Ogni concerto di quel tour era ricco di omaggi ai soldati mentre nel piccolo road movie verso l'Italia la si vede con i suoi figli ricordare anche suo nonno, morto durante la I Guerra Mondiale. Perché The Wall, ora, parla di guerra?
«The Wall è un'opera che puoi adattare a vari contesti storici ed esistenziali. Nel 1979 era un album su una rockstar in crisi con se stesso. Oggi, per me, è una metafora delle divisioni tra i popoli che creiamo al fine di isolarci e ucciderci l'un l'altro. Oggi sento che The Wall parla di mio padre, parla di Anzio, di Roma città aperta di Rossellini e di questa folle tensione nel mondo».

C'è un segreto per cui quest'opera è ancora così attuale?
«I bambini muoiono ancora sotto i bombardamenti o no? E ci si uccide per la religione. Mio padre morì combattendo i nazisti. A me sembra sempre la stessa dannata faccenda».

Come è stato passare alla regia dopo aver fatto arrabbiare tanti cineasti in passato?
«Con Alan Parker siamo adesso in ottimi rapporti. Kubrick non apprezzò il fatto che non gli diedi una canzone per Arancia meccanica. Se la legò al dito. Antonioni fu un tesoro d'uomo per la colonna sonora di Zabriskie Point. Era inevitabile che sarei finito a dirigere un film».

Ne farà altri?
«Non penso proprio. Ho tanti progetti musicali che vengono prima. Amo il cinema. Ma più da spettatore. Il mio film preferito è vostro: Ladri di biciclette di De Sica».