Dopo Riina, il procuratore antimafia: «Non è più tempo di capi torneremo agli Anni ‘80»

Dopo Riina, il procuratore antimafia: «Non è più tempo di capi torneremo agli Anni ‘80»
di Valentina Errante
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Domenica 19 Novembre 2017, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 15:58

Non c’è un successore di Riina. Per Federico Cafiero de Raho, nuovo procuratore nazionale Antimafia, Cosa nostra, che ha perduto potere con la linea stragista, è già tornata alla sommersione di un tempo e ad agire attraverso la struttura che il monarca assoluto aveva esautorato. Una mafia anni Ottanta, come quella raccontata da Tommaso Buscetta. 

Procuratore, come sarà strutturata la nuova mafia? 
«Bisogna fare una premessa, Riina era detenuto da circa 25 anni in regime di 41 bis, impossibile comunicare. L’unico modo era veicolare messaggi attraverso familiari o soggetti istituzionali, nel caso di collusioni. Quindi c’è stato un restringimento che ha limitato il potere verticistico e una conseguente occupazione dei ruoli da parte di altri soggetti, sia pure con capacità diverse. Anche se il ruolo di Riina era tale da costituire dal punto di vista simbolico una garanzia della monoliticità di Cosa nostra, l’organizzazione si è rinnovata».

Quindi la mafia ha già assunto una nuova forma? 
«La pressione dello Stato è stata enorme, il potere di Riina si era ridotto, come quello dei boss condannati all’ergastolo: la detenzione speciale impedisce un coordinamento diretto del territorio che è fondamentale. Le indagini hanno mostrato come l’assenza dei capi non abbia impedito a Cosa nostra di operare, ma è avvenuto attraverso soggetti che non avevano lo stesso carisma. Uomini che una volta erano inseriti nelle fasce intermedie. Perché Cosa nostra continuasse a vivere si dovevano applicare le regole tradizionali, quel codice che la mafia ha tramandato, la cosiddetta costituzione formale».

La linea stragista è stata abbandonata?
«A partire dalla fine degli anni Settanta, con una sequenza orribile e razionale, Cosa nostra ha abbandonato la strategia della sommersione, che da sempre giova alla criminalità. Ma la linea stragista è stata devastante. La mafia si è annientata: lo Stato è intervenuto. Cosa nostra è indebolita, ha proseguito l’attività di controllo del territorio e ha continuato con il traffico di stupefacenti. È ancora una delle organizzazioni che in Italia svolge con maggiore continuità la gestione della droga, ma in questi anni ha stretto legami con ‘ndrangheta e camorra, un ulteriore passo in avanti per le mafie, condividono interessi». 

Alleanze dovute all’indebolimento?
«C’è stata un’indagine che ha rivelato come negli anni ‘90 la ‘ndrangheta fosse stata invitata a partecipare alla stagione delle stragi. Nel ‘94 due carabinieri vennero uccisi, in altri due episodi rimasero feriti. Sono fatti legati alla strage dell’Olimpico. Ma alle successive riunioni tra emissari di Riina, capi della provincia di Reggio, dell’area ionica, della zona tirrenica e del centro, dopo l’adesione, inizialmente manifestata solo da alcuni, le cosche decisero di retrocedere: non era conveniente colpire lo Stato, loro con le istituzioni stavano bene. Questo dimostra che la strategia della sommersione paga, la ‘ndrangheta non ha subito la pressione dello Stato e la Calabria criminale si è salvata. Nel frattempo ha gestito il traffico internazionale di stupefacenti accumulando un patrimonio enorme. Il primo interesse della mafia è recuperare solidità».
 
Lei esclude una guerra di successione?
«Uno scontro tra gruppi criminali sarebbe motivo di un nuovo presidio con forze straordinarie che immobilizzerebbe gli affari». 

Quindi chi sarà il nuovo capo, si fa il nome di Grizzaffi?
«Riina ha sovvertito le regole, non c’è un uomo del suo carisma. Cosa nostra è tornata ad attenersi alla “costituzione”». 

La mafia raccontata da Buscetta con una commissione provinciale? 
«Esattamente. Pensare a una successione nella quale le consegne passino a un qualcuno che continui a stravolgere le regole sembra poco credibile». 

Riina ha rotto l’alleanza con la Dc, oggi c’è un partito di riferimento?
«Le mafie si muovono attraverso la penetrazione negli enti locali per ottenere subappalti, con patti collusivi o corruttivi. L’accordo non è con un partito, ma con soggetti sui quali si punta utilizzando il serbatoio di voti che avvantaggiano un partito. Una volta c’era la prevalenza Dc, ma non dimentichiamo che alcuni esponenti della Dc hanno perso la vita, si è trattato di accordi con uomini, spinti a occupare posizioni sempre più alte. Oggi Cosa nostra si adegua alla strategia di sommersione della ‘ndrangheta: testa bassa e capacità di relazionarsi con politici locali».
 

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