Renzi: «I danni di questo governo un certo Pd li sta scoprendo ora»

Renzi: «I danni di questo governo un certo Pd li sta scoprendo ora»
di Barbara Jerkov
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Domenica 25 Novembre 2018, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 11:51
Questo fine settimana Conte e Tria avranno il loro bel da fare a Bruxelles per cercare i limitare i danni di una procedura di infrazione. E’ preoccupato per come andrà a finire presidente Renzi?
«Sì. Ma più dell’Europa mi preoccupa l’incapacità di Conte e Tria. Hanno gestito questo dossier coi piedi. E, purtroppo, si sono resi ridicoli davanti ai mercati, non solo a Bruxelles. Pagheremo le conseguenze di queste scelte non domani ma per mesi: il 2019 di famiglie e imprese sarà nero per colpa del nostro governo. Ci lamentiamo delle sparate di Salvini e Di Maio, ma non sarà facile perdonare l’irresponsabilità di Palazzo Chigi e Mef».

Intanto lo spread - non lo diciamo noi ma Bankitalia - ha già impoverito gli italiani facendo salire mutui e costi del debito pubblico. Troppo tardi per trovare un rimedio?
«Non è mai troppo tardi per il buon senso. Rilancio l’appello: fermatevi! Abbassate il deficit. E cambiate le misure: con i condoni e i redditi di cittadinanza l’Italia non cresce. La Camera sta per votare la manovra: presentate subito un maxi-emendamento del governo e lo spread scenderà. Non mi piace solo criticare: alla Leopolda con Padoan abbiamo offerto una contromanovra: dimezza lo spread e abbassa le tasse. Fatelo per l’Italia, non per noi. Abbandonate la vostra strategia suicida».

Come se lo spiega che la Lega continua a crescere nei sondaggi nonostante questi scenari?
«Conosco le dinamiche del consenso anche per esperienza personale. Quando un palloncino vola sembra inarrestabile ma basta uno spillo per bucarlo. Accadrà lo stesso anche alla Lega, è scritto. E quando il mondo produttivo del Nord si accorgerà che i selfie di Salvini fanno aumentare i like ma fanno scendere i risparmi, saranno i primi a rivoltarsi contro il ministro dell’Interno. Agli italiani puoi fare tutto, ma guai a chi tocca il portafoglio. Penso che dopo la luna di miele per Salvini stia iniziando la discesa: arriveranno provati alle Europee, mancano ancora più di sei mesi. E sei mesi per la politica di oggi sono un’eternità».

Lavoro, banche, pensioni: le riforme del centrosinistra vengono smontate una ad una.
«Vengono smontate a parole. Ma sulle pensioni la cancellazione della Fornero non c’è. Sul lavoro hanno combinato il pasticcio del Decreto Dignità, ma il Jobs Act non è stato toccato. E sulle banche vedrà che – in caso, temo probabile, di necessità – metteranno tanti soldi, più di quelli che abbiamo messo noi. Sono bravi a parole, ma la realtà è un’altra cosa. Io faccio il tifo per l’Italia e dunque spero di avere torto: ma le fake news di Casalino incantano solo qualche direttore di tg Rai, non gli italiani. E meno che mai chi ci presta i soldi sui mercati».

Sarà contento almeno che i bonus - dagli 80 euro a quello ai 18enni - sono stati confermati. 
«Sorrido. Ci hanno buttato addosso quintali di fango contro “la politica dei bonus” e poi confermano le nostre scelte. Forse non erano così male. Peccato perché hanno tagliato sulla scuola e sui bonus di Industria 4.0 ma alla fine il tempo è galantuomo. Lo vediamo sul piano giudiziario con le prime condanne di Marco Travaglio, lo vedremo sul piano economico con i dati Istat. Se non hai fretta la verità arriva: le scuse no, ma ci accontenteremo della verità».

Sa qual è l’impressione? Che lei punti al ruolo di leader dell’opposizione al governo giallo-verde ma a nome proprio, non del Pd. E’ corretto?
«Non so se sono il leader: sono solo uno di quelli che da subito ha contestato un governo che elimina l’obbligo dei vaccini e fa il condono edilizio. Che ci schiera dalla parte sbagliata dell’Europa e che grazie a Di Maio aumenta i disoccupati, non i posti di lavoro. Diciamo che io l’ho detto dal primo giorno, altri che sognavano di addomesticare i barbari si stanno accodando piano piano alla linea dura. Ma va bene così, non importa chi lo ha detto per primo».

Altra impressione: una voluta ambiguità di fondo che la fa stare già con un piede fuori dal Pd, come a preparare il terreno per questa benedetta nuova “Cosa civica”. Non fa altro che ripetere che sono stati i big del Nazareno a chiederle di farsi da parte ma sembra proprio che lei non chieda di meglio. Giusto o sbagliato?
«Sbagliato. Io sono l’unico – di tutto il panorama politico italiano, non solo del Pd - che si è assunto una responsabilità, dimettendosi. Dico solo che una parte della sconfitta venga anche dal fuoco amico: mi hanno fatto la guerra più in casa che fuori. Leggendo le analisi di esponenti del Pd pare che ogni problema della sinistra mondiale dipenda dal mio carattere: mi sembra superficiale. Ora mi sono fatto da parte, vediamo che succede. Ho smesso di fare il segretario, ma ho il mio collegio e combatto per la mia gente contro gli errori del governo. Senza rancore, ma senza mollare di un centimetro. E combatto insieme a migliaia di persone che non si vergognano di ciò che abbiamo fatto in questi anni come invece pare che facciano molti ex ministri. Queste migliaia di persone cresceranno settimana dopo settimana con il peggiorare della crisi economica. Sono e saranno il nucleo dei comitati civici».

Ecco, appunto. Comitati civici per fare cosa?
«Per dare una possibilità di impegno a chi non si riconosce nei partiti tradizionali ma ha voglia di dare una mano contro questo governo. E per difendere l’anima dell’Europa».

Zingaretti, Minniti, Martina: ci dia un giudizio su ciascuno dei tre principali candidati alla segreteria. Del resto anche lei andrà a votare il giorno delle primarie...
«I giudizi li dà l’elettore e nessun altro. Spero che esca un Pd forte e riformista».

Tra due settimane saranno due anni dal referendum costituzionale che portò alle sue dimissioni. Si ricorda quei giorni? C’è qualcosa di cui si è pentito o che, col senno di poi, non rifarebbe? Magari dare l’ok a un governo Gentiloni?
«Dovevamo votare nel 2017, certo. Ma coloro che lo hanno impedito oggi non ne parlano: la parola autocritica, come la parola gratitudine, non appartiene al loro vocabolario. Tuttavia il rimpianto è per l’Italia, non per il Pd: avessimo vinto il referendum oggi avremmo un governo efficiente, anziché un continuo litigio tra due forze politiche. La retorica della deriva autoritaria mi ha dipinto come un dittatore, una lettura ridicola. Io volevo abolire il Cnel, Grillo vuole abolire il Parlamento: c’è una bella differenza. Ma persino il teorico della deriva autoritaria, il professor Zagrebelsky, si è svegliato dal letargo chiamando ieri alla resistenza contro il governo Conte-Di Maio-Salvini. Oggi però a me sta a cuore solo il futuro. L’obiettivo non è la rivincita del referendum ma salvare il Paese oggi. Al passato dico solo grazie e dal passato cerco di imparare. Ma la priorità oggi è il futuro. Occupiamoci dei posti di lavoro per i ragazzi, non dei rimpianti per il referendum».

Un’ultima domanda su Roma, presidente. Raggi è stata assolta in primo grado, il voto per il Campidoglio si allontana. Più deluso o più sollevato, visto lo stato del Pd romano?
«Non ho mai attaccato Virginia Raggi sul piano personale e giudiziario perché io sono garantista sempre, innanzitutto con gli avversari. Io rispetto il Sindaco di Roma e anche se credo che il suo operato non sia sufficiente voglio sconfiggerla sul piano politico, non sul piano giudiziario. Il fatto che i grillini non facciano lo stesso nei nostri confronti è un loro problema. Lo stile è come il coraggio di don Abbondio: chi non ce l’ha, non può darselo».
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