Renato Zero: «Ora vado alla conquista di Broadway»

Renato Zero
di Andrea Scarpa
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Domenica 20 Maggio 2018, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 01:13
Tuta nera larga da rapper e cappello di lana dello stesso colore calato in testa, Renato Zero si fa trovare così - seduto davanti alla scrivania - nello studio in centro del nipote avvocato, sede della sua etichetta Tattica. L’appuntamento l’ha fissato, alle 15.30, per raccontare il doppio cd Zerovskij - Solo per amore, registrato la scorsa estate alla fine del tour - all’Arena di Verona - e uscito il 18 maggio. Poi, ovviamente, si è parlato anche d’altro. 

Come se la passa a 67 anni?
«Come se avessi finalmente fatto uno scrub».

Cosa?
«Quei lavaggi granulosi che levigano la pelle ed eliminano le cellule morte. Ecco, ho tolto le scorie e sono come nuovo. La mia audacia è stata premiata».

In che senso?
«Nel senso che ho trovato il modo di fregare il tempo: non mi lascio ingabbiare dalla routine e guardo avanti. Faccio così da una vita». 

E in quest’ultima fase della sua vita che cosa l’ha sorpresa di più?
«La conferma che la smania di fare tanto, e sempre a modo mio, è una delle mie risorse più preziose. Il progetto sinfonico Zerovskij è stato un successo perché volevo fare qualcosa di diverso con una grande orchestra. Per questo ho pensato a un’opera polivalente - da portare a teatro (con 120 artisti fra musicisti, attori e cantanti) e al cinema (nei sei giorni di proiezioni speciali nelle sale, Zerovskij ha fatto sempre il “tutto esaurito”) - che potesse poi permettermi di andare in giro per il mondo».

Che fa, alla sua età va alla conquista del mondo?
«Non lo so. Ho tre volte 20 anni e qualche spicciolo e tutto questo è molto stimolante. Stufo di fare sempre le stesse cose, adesso voglio vedere se questa mia creatura può arrivare a Broadway, all’Olympia di Parigi o sui palcoscenici di Las Vegas. Se andrà avanti forse cambierà anche il mio modo di fare musica. Sto alla finestra e aspetto».

Quindi al capolinea, visto che nel suo musical il personaggio di Zerovskij è un capostazione, non ci pensa proprio?
«La pensione non fa per me. Diciamo però che sono per gli scambi di binario e le soste, anche lunghe, per fermarsi, guardarsi intorno, e cercare di capire».

Come se lo immagina il futuro?
«Dovrebbe preoccuparmi per mille motivi, ma sono positivo e ho sempre fame di emozioni».

Che vita fa oggi?
«Svincolata da tutto e tutti. Non ho un’agenda, per esempio, non l’ho mai avuta. Mi sono sempre preoccupato del presente e dei successivi 15 minuti. Mi ha sempre guidato la concentrazione e l’istinto, cose che la gente - temo - stia perdendo. Per colpa anche dei social».

Li usa?
«No. Io se devo dire qualcosa a qualcuno lo faccio di persona. Anche al citofono, se serve». 

Prima dei 70 anni che cosa le piacerebbe assolutamente fare?
«Ho sempre meno colpi in canna perché il mio fucile ha sparato tanto. Ho ancora mira, però, quindi mi preoccupo di non sprecarli».

Con la tv ha chiuso?
«Sì. Troppe delusioni. Oggi preferisco vivere».

Sanremo targato Claudio Baglioni è stato un successo: se, dopo di lui, la Rai le chiedesse di occuparsene, accetterebbe?
«No, per carità. Claudio è stato bravissimo. Deve continuare».

Sicuro?
«Certo. Il Festival da conduttore e direttore artistico non lo farò mai».

Perché?
«Mi conosco: sono bravo a interagire con i colleghi fuori dai contesti istituzionali e in maniera no profit e trasparente».

Visti i risultati ha altri progetti per il cinema?
«Andrea Occhipinti di Lucky Red, che ha curato la distribuzione nelle sale di Zerovskij, mi ha detto che se fossimo rimasti in maniera tradizionale nelle sale avremmo fatto ottimi incassi. Io però sono uno di quelli che se va al Luna Park e con il fucile acchiappa l’orsacchiotto al primo colpo, me ne vado subito perché so che non si ripeterà».

La delusione più cocente?
«Fonòpoli. La colpa di quel fallimento è di una politica orba che non tiene conto delle esigenze reali di chi dovrebbe rappresentare. Volevo dare un senso alle energie e alle idee di tanti giovani. Non ci sono riuscito». 

Il progetto è da considerarsi abortito?
«Diciamo congelato. È finita così per via di persone abituate agli inciuci. C’è chi si è spinto a propormi 27 mila metri cubi di edificio commerciale quando io ne avevo chiesti 5 mila per il teatro, le aule e tutto il resto. Insomma, a un certo punto qualcuno ha pensato di poter fare un’enorme speculazione. E io non me la sono sentita di andare avanti. Peccato, un popolo colto può cambiare tutto».

A proposito, i romani come si sono dimostrati quando hanno votato per il sindaco: colti o ignoranti?
«Secondo me molti neanche sapevano chi stavano votando».

Roma è in crisi profonda: ricorda altri periodi simili?
«Francamente no. Sono nato nel 1950, la città bombardata non l’ho vista, ma credo che ormai sia scesa a quel livello. Un disastro totale».

L’avrebbe mai immaginato?
«No. E guardi che i problemi a volte sono un’ottima palestra per crescere, solo che oggi sono talmente tanti che la gente ha mollato la presa. Le piazze sono vuote, nessuno protesta».

Quando va in giro per la città i romani la salutano sempre in maniera incredibilmente calorosa?
«Certo. Tutti: dall’avvocato al netturbino. Cosa che per me vale più di qualsiasi successo. Vuol dire che ho seminato bene: hanno capito che sono sempre stato vero».

Non c’è mai stato un momento in cui tutto questo le ha dato alla testa?
«Mai. Sarebbe stato un sacrilegio. Io vengo dalla strada».

Lei ha sempre giocato d’anticipo sui tempi: se da una parte le ha portato fortuna, dall’altra l’ha pagata?
«Sì, e anche tanto. Ho sempre dovuto combattere contro ironia e sarcasmo, botte e insulti. Ostilità di ogni tipo».

Come ce l’ha fatta a reggere?
«Con coraggio, incoscienza, talento. Ho scritto e cantato di pedofilia e aids prima ancora che qualcuno osasse pensare a cose del genere».

E adesso?
«Quando vedo una palla di vetro mi giro dall’altra parte».

Sempre credente?
«Sì, certo. Dio per me è ovunque ci sia amore, ragione, rispetto».

Le piace Papa Francesco?
«Certo. Sono d’accordo con tutte le cose che dice e che fa. Il suo ministero è gestito molto bene e ha anche rimesso ordine nella famiglia ecclesiastica. Ce n’era bisogno».

L’ha mai incontrato?
«Non vorrei sembrare polemico né presuntuoso, ma da quando è stato nominato ho manifestato a tante personalità del clero romano la volontà di incontrarlo. Per ora, senza fortuna. Io, però, aspetto: se deve succederà, succederà».

L’ultima volta che si è emozionato?
«Con Ron all’Auditorium nel concerto dedicato a Lucio Dalla. Serata da brividi». 

Eravate amici?
«Sì, veri amici. L’altra sera l’ho visto ancora vivo e in buona salute. Non sono solo canzonette, le nostre. Resta tanto di quello che facciamo».

Da qui a 100 anni, quando sarà, se potesse fare come gli Antichi egizi cosa si porterebbe dietro?
«Aspetti che ci penso».

Prego.
«Nulla. Lascio tutto qui, a testimonianza del mio passaggio. Meglio così».
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