Professori, sacerdoti e politici di ogni colore, quando la capriola sull’astensione è un’arte

Professori, sacerdoti e politici di ogni colore, quando la capriola sull’astensione è un’arte
di Mario Ajello
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Sabato 16 Aprile 2016, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 00:58
Come chiamarla: ipocrisia? O sminuirla al ”qui lo dico e qui lo nego”? Loro, quelli che a proposito dell’astensione pensavano e praticavano una cosa (la liceità di non votare ai referendum) e ora predicano l’opposto (demonizzando chi invita al non voto), potrebbero ribattere con la celebre formula secondo cui «soltanto gli idioti non cambiano idea». 
L’attuale sinistra pd, offesa con Napolitano, con Renzi e con tutti quelli della diserzione referendaria sono gli stessi che nel 2003, al tempo della consultazione sull’articolo 18 chiamavano il popolo della sinistra restare a casa. Pierluigi Bersani - che stavolta alle urne andrà ma non smentendo il suo industrialismo storico voterà per il no - il 13 giugno del 2003 disse che non votare a un referendum non solo è un diritto ma anche un dovere. Lo fece così: «Nessuno obbliga a rispondere, in cabina elettorale, a domande mal poste». E Massimo D’Alema che ha trovato «indecente» l’atteggiamento astensionistico del nemico Renzi? Baffino, sempre nel 2003, tuonava: «Non andrò a votare e smentisco chi dice che invece ci andrò».
 
SCI D’ACQUA
Silvio Berlusconi, si sa, è il Cavalier Giravolta. Ora si dice «indignato» per gli appelli alla diserzione referendaria, che rischiano di vanificare la spallata a Renzi desiderata dal leader forzista - ma fu proprio lui che consigliò a tutti di stare alla larga dalla consultazione, «demagogica e basata sul nulla», del 2011 a proposito dell’acqua pubblica, del nucleare e soprattutto del lodo Alfano. Si dirà: ma i vescovi sono meglio dei politici in fatto di coerenza e anche i professori o i «professoroni» sono meno volatili nelle loro convinzioni rispetto agli smaliziati abitanti del Palazzo. Ma non è proprio così. Eccoli i prelati che - ingerenza nella politica? Ma quale ingerenza nella politica, dicono loro - lanciano fulmini sul peccato dell’astensione e invitano, da nord a sud, a «realizzare la massima partecipazione alla prossima consultazione popolare contro lo sfruttamento del territorio e la trivellazione». Sono più o meno gli stessi, o almeno appartengono alla medesima istituzione, che nel 2005 festeggiarono il fallimento del referendum sulla procreazione assistita, con un grido di vittoria così: «Gli italiani hanno mostrato maturità rifiutandosi di pronunciarsi su quesiti tecnici». Quello fu il trionfo della Chiesa astensionista, che prese per mano le masse che «amano la vita e diffidano di una scienza che pretende di manipolarla» e le condusse lontano dalle cabine referendarie. 
Ed è un politico Renato Brunetta? Sì, ma anche un prof. camaleontico in entrambe le sue vesti. «L’invito all’astensione da parte di Renzi è un reato e un attentato alla democrazia!», tuona in queste ore. Da ministro della Funzione pubblica, però, invitava all’astensione nel referendum sull’acqua. E con identica foga. Un po’ quella che, più pensosamente, esibisce il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. 
 
BOVVIO 
Il mito di Zagrebelsky, tanto da essere considerato un semi-Bobbio o un semi-Bovvio, è sempre stato il celebre intellettuale torinese. Il quale nel 1990, durante la campagna referendaria su caccia e pesticidi, scrisse contro l’astensionismo definendolo «un trucco». Per Zagrebelsky invece, a corrente alternata, il non voto è da esecrare o da esaltare. Ora lo esecra in chiave anti-governo. Prima un po’ lo condannava e un po’ no, in occasione del referendum sulla legge 140 nel 2005: «L’esortazione della Chiesa a disertare le urne è legittima», anche se immorale perché «siamo di fronte allo sfruttamento opportunistico di quelle quote di astensione fatalmente derivanti da disinteresse o indifferenza». Parola di Zag. Ma quattro anni dopo, egli lanciò il suo contrordine in merito al referendum Guzzetta-Segni: «Sono convinto che sia meglio non andare a votare. Mi asterrò». Siccome nell’empireo di Zagrebelsky non c’è ordine senza contrordine a sua volta corretto da un altro ordine correttivo del precedente, egli in questi frangenti considera l’invito astensionista sulle trivelle «inquietante», intollerabile e antidemocratico. Condividendo il giudizio e le capriole, da intellettuali zelig, con il suo amico e collega Stefano Rodotà. 
 
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