Referendum, i costituzionalisti: «La campagna serva a spiegare la vera portata della riforma»

Referendum, i costituzionalisti: «La campagna serva a spiegare la vera portata della riforma»
di Marco Ventura
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Mercoledì 28 Settembre 2016, 00:40 - Ultimo aggiornamento: 15:43
Fosse semplice. Il 4 dicembre il quesito a cui gli italiani saranno chiamati a rispondere, è tutt’altro che netto come il Sì o No al divorzio, all’aborto, alla Repubblica. Ora si tratta, avvertono concordi i maggiori costituzionalisti, di spiegare la sostanza della riforma per scongiurare il prevalere delle tifoserie politiche. Alfonso Celotto, costituzionalista «tiepidamente» per il No, riporta la confusione al fatto che «mentre la volontà popolare deve potersi concentrare su una scelta chiara, qui sono in gioco ben 54 articoli della Costituzione e almeno 20 istituti: Senato, referendum abrogativo, decreti legge, Cnel, elezione del capo dello Stato, Regioni, composizione della Corte Costituzionale... Difficile esprimersi su ogni singolo aspetto». Ci vorrebbe una valutazione globale per capire se il sistema funzioni meglio o peggio di quello che va a sostituire. 
«Giustamente il premier Renzi, per evitare una discussione troppo tecnica, aveva invitato a fidarsi di lui e a votare Sì. Quando però si è accorto che personalizzando rischiava di perdere, è tornato alla necessità di una scelta consapevole». I votanti sono circa 44 milioni, in 20-30 andranno alle urne e il rischio è che si esprimano «per simpatie e antipatie verso la Boschi, verso Renzi…». Neppure il superamento del bicameralismo perfetto sarebbe un quesito binario. «In realtà il bicameralismo perfetto non viene superato: la competenza del Senato resta su 25 leggi fondamentali, e se da un lato le Regioni perdono competenze, dall’altro avremo il Senato delle Regioni». L’argomento del risparmio non avrebbe senso. Osserva ancora Celotto, poiché, avverte, verrebbe tagliato solo il 10 per cento del costo del Senato, pari all’indennità dei senatori. 
I MESSAGGI
Per Stefano Ceccanti i messaggi sono due, connessi tra loro. Il primo: «Vuoi tu che il Senato non sia più un inutile doppione della Camera e non possa sfiduciare il governo?». Il secondo: «Vuoi tu che il Senato si trasformi in una Camera delle Regioni, riducendo il conflitto con lo Stato centrale?». La riforma sarebbe un modo per recuperare un certo federalismo, visto che la giurisprudenza della Consulta ormai favorisce lo Stato. Il cuore della riforma sarebbe il primo: «Il 95 per cento delle leggi resterebbe alla competenza della Camera, solo il 5 anche al Senato». Un altro alfiere del Sì, Giovanni Guzzetta, contesta «i professionisti del No che scommettono sul fallimento». Tutti i sondaggi dicono che è alta la percentuale di indecisi. «Noi dobbiamo entrare nel merito», ammonisce Guzzetta. «Questa riforma non è il paradiso costituzionale alternativo alla morte della democrazia. È invece una riforma che opera una manutenzione straordinaria di una Costituzione che come tutti gli edifici, dopo circa 70 anni va aggiornata. Le Costituzioni sono testi per servire la storia in un certo periodo. Una democrazia non deve avere orrore della maggioranza, né della capacità di decidere come quando si usciva dalla guerra». Nel mondo non esistono mai due Camere che diano la fiducia al governo. «Se succede, come in Italia, che le Camere abbiano maggioranze diverse, questo genera instabilità. L’alternativa non è tra questa riforma e una migliore. Se non la approviamo, non riusciremo più a cambiare». 
L’ex Guardasigilli e presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick: «I nuclei della riforma sono il Senato e il rapporto fra Stato e Regioni. Difficile per il cittadino orientarsi dovendo dare una sola risposta a due temi così diversi. Per questo si era pensato a uno spacchettamento, che però adesso è impossibile. Il problema non è tanto se raddoppiare o no le Camere, quanto se questa proposta possa funzionare e essere efficace». Si adducono «motivi molteplici e tra loro contrastanti per dire Sì. Si è cominciato col dire votate sì altrimenti il premier va a casa, poi perché lo ha chiesto il presidente della Repubblica al momento di essere rieletto (Napolitano, ndr) e, terzo, perché altrimenti i mercati ci castigano». Infine, si è detto che «gli errori ci sono, ma le correzioni da apportare sono marginali e successive». Il quesito per Flick, che non ha mai nascosto le sue perplessità sul ddl Boschi, è un altro: «È preferibile votare Sì per cominciare frettolosamente a cambiare una Costituzione inadeguata, o cercare di fare la riforma giusta?». Ma soprattutto: «I cittadini devono potersi esprimere anche senza essere laureati in giurisprudenza». 
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