Raggi al governo che non c’è: «Piano da 2 miliardi per Roma»

Raggi al governo che non c’è: «Piano da 2 miliardi per Roma»
di Simone Canettieri
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Venerdì 18 Maggio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:04
Il documento è in via di ultimazione e sarà consegnato appena ci sarà qualcuno che potrà prenderlo. Il Campidoglio M5S è pronto a battere cassa al futuro governo (salvo sorprese) penta-leghista. Rilanciando così il «patto per Roma» che non passa solo da una nuova riforma della governance della Capitale (più poteri e autonomia) ma anche, anzi soprattutto, da una richiesta di fondi extra per gli investimenti. Il conto è spalmato in tre anni, fino alla fine (esclusi colpi di scena giudiziari) dell’esperienza di Virginia Raggi in Comune. La richiesta ammonta a 2 miliardi di euro. Un tesoro dentro al quale ci sono tutti i punti, rivisitati e corretti, già portati all’attenzione del ministro Carlo Calenda attraverso l’Agenda per Roma.

LA LISTA
I macro capitoli riguardano trasporti e strade. Totale: 1 miliardo di euro equamente diviso. Per la prima criticità si tratta di chiedere soldi cash per l’acquisto di nuovi autobus e per nuovi treni della metro (500 milioni); per la seconda emergenza bisogna partire con una manutenzione straordinaria della rete viaria, visto il flop del Piano Marshall annunciato dall’assessore ai Lavori pubblici Margherita Gatta. Poi ci sono altre tre tranche da 150 milioni di euro per intervenire sulla messa in sicurezza delle scuole, salvaguardia dei beni culturali e manutenzione degli immobili Erp (le case popolari del Comune). 

Questi sono i fabbisogni dell’amministrazione Raggi a cui dovrebbe pensare il nuovo governo. All’interno di questa partita c’è anche la richiesta di aumentare la quota annuale di extracosti (110 milioni di euro) che lo Stato riconosce a Roma per l’esercizio della sua funzione di Capitale. 

Nel corso degli ultimi contatti con Luigi Di Maio e Roberto Fico, la sindaca ha fatto presente loro anche l’esigenza di nuovi strumenti normativi per rendere più agile la contabilità dell’amministrazione. Si passa da maggiori spazi di finanza pubblica (per una migliore gestione dei debiti fuori bilancio) fino al «via libera» per la permuta degli immobili comunali adibiti a sedi istituzionali (un modo per evitare gli affitti passivi). Questi sono i punti che finiranno sul tavolo del futuro inquilino di Palazzo Chigi. Sullo sfondo, infine, ci sono altre operazioni ben più hard. Che al momento rimangono nell’alveo delle ipotesi. La prima, la più suggestiva di tutte, riguarda la possibilità di spostare gli oltre 2 miliardi di euro accumulati dalle partecipate nel calderone della gestione commissariale. Una manovra da sempre caldeggiata da Massimo Colomban quando era assessore. L’effetto più clamoroso si vedrebbe su Atac e avrebbe come conseguenza il ritiro del concordato in tribunale. Ovvero: 1,3 miliardi di euro di rosso finirebbero nella gestione commissariale del debito (che si assesta a quota 13 miliardi di euro) ripagato ogni anno dai romani (con l’aliquota Irpef più alta del Paese) e dal resto degli italiani. Un’operazione tanto suggestiva, appunto quanto difficile da realizzare. Anche perché servirebbe un voto del parlamento e inoltre la faccenda, trattandosi di un’azienda, rischierebbe di sfociare nell’aiuto di Stato. Dunque meglio puntare all’obiettivo minimo, si fa per dire: 2 miliardi di euro per la gestione della Capitale per i prossimi tre anni. Quale miglior biglietto da visita per la ricandidatura di Virginia Raggi una volta caduto il tabù dei due mandati?

 
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