Gli appartamenti imperiali sono nella cosiddetta Manica Lunga, prolungamento del palazzo iniziato da Gian Lorenzo Bernini e concluso nel Settecento da Ferdinando Fuga. Nel 1888 e 1893, sedici stanze vengono organizzate, al piano nobile, per ospitare l’imperatore tedesco Guglielmo II. E tra loro c’è quella «di Brustolon», dal nome dell’ebanista Andrea, che vi lascia 12 poltrone intagliate con i segni dello Zodiaco; arazzi del Settecento su cartoni di François Boucher; un «salottino giapponese», secondo la moda del tempo, anche se i pannelli da cui è rivestito sono cinesi; un salotto arredato dal maestro piemontese del legno Pietro Piffetti; una preziosa Madonna di Lorenzo Lotto; altre sale arredate con mobili portati dai palazzi reali torinesi, la Villa della Regina e altri, tra un risplendere di boiserie rivestite d’oro e lampadari di manifattura veneziana.
L’appartamento napoleonico, destinato a Bonaparte che però non vi pose mai piede, è invece nella parte più antica del palazzo. Lo studio ha finestre su tre lati, quindi un ottimo panorama; l’anticamera, dei genietti alati che reggono le armi (la vestione dell’eroe); il salotto o Sala delle Dame, un fregio in stucco di Bertel Thorvaldsen. La stanza da letto era accanto: nel locale che si chiama degli Arazzi di Lilla; la volta era un’opera di Pelagio Palagi. Arazzi dei Gobelins, siamo nel Settecento; un ritratto del condottiero Eugenio di Savoia. Ma ancora più curiosa è la Vasella, che conserva gli oggetti singoli e i servizi da tavola. Vi sono presenti tutte le massime manifatture (da Meissen a Sèvres e Doccia, per citarne qualcuno), del Sette e Ottocento. Ma anche dei pezzi che risalgono a Luigi XV, donati da quel re alla figlia che era Duchessa di Parma. I principali servizi sono 25, tre del Settecento; e il più ingente, un Ginori detto «Balì», conta, da solo, oltre novemila pezzi. Sono usati, si intende, assai raramente: nelle grandi cene di Stato; però, conservati e ordinati alla perfezione. Sono in tutto, 38 mila pezzi: la visita costituisce un’esperienza unica. Non mancano pezzi orientali, cinesi e giapponesi, e varie tipologie di decorazione, di solito del Sette e Ottocento, molti già a Parma; e pure una raccolta di vasi nipponici, già nelle collezioni pontificie, come spiegano i piedestalli, con lo stemma di Clemente XIV Ganganelli (1769 - 1774).
LE SCUDERIE
Già, in alcuni casi, si riesce ad ammirare il padiglione delle Carrozze: quando arrivano i Savoia, sono tra le prime esigenze cui pensano. Ora, vi si accede dalla Dataria; e al tempo, le Scuderie del Quirinale, che oggi ospitano grandi mostre, non bastavano più. Quindi, un edificio nuovo, ad «elle», su tre piani: a quello terreno, le rimesse con sei campate, i finimenti, i fienili; sopra, il personale. Qui, si ammirano 15 esemplari bellissimi (in tutto, il Quirinale ne possiede 105, sparsi in più sedi); il più antico è il «Berlingotto» del 1789: dipinto d’oro, coupé a due posti creato per le nozze di Vittorio Emanuele I. Ma un altro si chiama «degli sposi» perché costruito per le nozze di Carlo Alberto con Maria Teresa d’Asburgo; un terzo è dipinto con Storie dei viaggi di Telemaco; un quarto, l’Egiziana, lo vuole Carlo Felice nel 1819 per la moglie Maria Cristina di Borbone: glielo dedica per Carnevale, ma poi, ridipinto di nero, viene usato per i funerali reali.
Gli uffici, già molti sono nella Manica Lunga, saranno ulteriormente compressi. Il Quirinale calcola che per metà dei giorni, i saloni ufficiali siano sgomberi da eventi di Stato; ma si dovrà provvedere alla vigilanza, a passatoie per non logorare i pavimenti, alle esigenze di controllare chi metterà piede nel primo palazzo d’Italia. E forse, si farà lo stesso anche per Castelporziano; e, a Napoli, per Villa Rosebery. Il Quirinale (e dintorni) sempre più «la casa degli Italiani».
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