Quell’Italia formato Arbore, una mostra al Macro celebra il talento dell’uomo radiotelevisivo più ammirato

Quell’Italia formato Arbore, una mostra al Macro celebra il talento dell’uomo radiotelevisivo più ammirato
di Marco Molendini
4 Minuti di Lettura
Sabato 19 Dicembre 2015, 00:20
Televisione, radio, musica e puttanate: ovvero le passioni di Renzo, lo scapocchione come lo chiamava suo padre, avvertendo la sciagurata tendenza del figlio a comportarsi da scapestrato. Ma nasce da lì, da quella scapocchionaggine, il talento dell'uomo televisivo più ammirato, rimpianto e assente dal video. Una storia che ora viene raccontata e illustrata in una sorta di autobiografia ultrapop per immagini e oggetti allestita al Macro: un viaggio colorato, sgargiante, gioioso e strafottente, ironico e intimo perché, in fondo, è una sorta di trasloco da casa Arbore, di per sé già una sorta di mostra permanente di se stesso, all'ex Mattatoio. 

INSTALLAZIONI
Perché assieme ai volti, ai ricordi, agli spezzoni della carriera pubblica (c'è anche uno studio radiofonico che riproduce i suoni e il clima di Alto gradimento) c'è il Renzo collezionista compulsivo di tutto ciò che sfugge al banale, che solletica la fantasia, la meraviglia, l'originalità sfrenata. Una parete intera, vera e propria installazione artistica, che mette insieme le sue camicie come fossero una sorta di muro della fantasia, un'altra con le cravatte, un'altra con una sfilata di cappelli impensabili (uno riproduce il Cupolone, un altro ha la forma di un fenicottero rosa), un'altra ancora coi gilè (compresi quelli disegnati dal maestro futurista Depero). E poi c'è la preziosa collezione di borsette di plastica di ogni epoca, c'è una quantità impensabile di radio (da quelle a galena in poi), ci sono i gingilli, le cianfrusaglias (le chiama così) più disparate, i barattoli di ogni tipo di cibo (dall'alligatore cajun, alle orecchie di maiale, alle stringhe di bufalo) tutte rigorosamente scadute, come si conviene a un vero collezionista che lo sguardo al mondo lo ha dato dal buco della serratura dei mercatini, attirato irresistibilmente dal fascino della plastica colorata. 

«È vero, se mi trovavo a San Pietroburgo invece che andare all'Hermitage, andavo a comprare sulle bancarelle ricordini, spille o colbacchi». 
Uno capace di mobilitare l'aeroporto di Buenos Aires perché dalla sua valigia colava sangue (un pezzo di carne...). La mostra, allestita splendidamente da Giovanni Licheri e Alida Cappellini (il Gatto e la Volpe li chiama Renzo, raccontando che «di notte venivano a saccheggiare casa»), insomma finisce per raccontare il segreto di Arbore e del suo genio creativo, aver saputo identificare vita e spettacolo, mettere in scena quel che gli capitava, con gli amici che frequentava, negare ogni finzione, vizio antico e moderno della tv del già visto e ripetuto. 

<TB><CW-8>Un sistema che sfrutta ogni occasione, perfino l'inutile laurea in legge («fatta solo perché così voleva mio padre») i cui insegnamenti sono tornati buoni per le "stupidaggini" che ricordava nel Processo a Sanremo (un boom, 10 milioni di ascolto). «Con Ugo Porcelli, con cui non sarei riuscito a fare quello che ho fatto perché dava ordine alle mie invenzioni - racconta - abbiamo fatto 15 programmi[/FORZA-RIENTR] per la Rai, da “Speciale per voi” a “Meno siamo, meglio stiamo”, all'insegna dell'altro, dell'originalità, fuori dal consueto e dal banale. Con la stessa logica con cui ho raccolto i miei oggetti. Nella collezione se c'è una forchetta l'ho voluta perché si allunga e ti permette di rubare al vicino, oppure è a manovella per arrotolare gli spaghetti». 

LA CLASSE
E' lo stesso principio con cui sono nati programmi radiofonici, a cominciare da “Alto gradimento” con Gianni Boncompagni, per arrivare all'“Orchestra italiana” passando dai successi televisivi come “Quelli della notte”, “Indietro tutta”, “Processo a Sanremo”, “Cari amici vicini e lontani” e via dicendo, tutti manifesto di una tv elegante e signora: «Renzo è un signore meridionale dotato di gran classe» è l'affettuosa descrizione di Mariangela Melato che accoglie all'ingresso della mostra e fa da compensazione a quella icastica di Alfredo Cerruti: «Renzo è uno degli ultimi registi in grado di valorizzare indifferentemente porci e cani». 

</CW><CW-16>Quando la direttrice del Macro, Federica Pirani, che ha presentato la mostra assieme a Luigi Abete di Civita (che l'ha organizzata) ha paragonato Arbore a una sorta di Andy Warhol italiano, testimone della cultura contemporanea, Renzo l'ha subito riportata a terra, ricordando: «Io sono autore dei versi che dicono: “Lo diceva Neruda che di giorno si suda, rispondeva Picasso io di giorno mi scasso"». Eppure un certo capogiro entrando in questo parco giochi che racconta le sue passioni l'ha avvertito pure lui: «Sono rimasto abbacinato dai ricordi» ha ammesso. E se sull'età la butta a scherzo («sono più vicino ai 70 che ai 60»), se qualcuno gli chiede del prossimo futuro la risposta è inevitabile: «Voglio continuare a comprare borsette».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA