Tra Ilva e gasdotto, la trincea 5Stelle in Puglia a rischio un milione di voti

Tra Ilva e gasdotto, la trincea 5Stelle in Puglia a rischio un milione di voti
di Diodato Pirone
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Mercoledì 1 Agosto 2018, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 13:39

ROMA La Puglia vale 981.580 voti e 29 deputati. Grosso modo il 10% del gigantesco bottino elettorale messo in cascina dai 5Stelle lo scorso 4 marzo è arrivato da questa regione del Sud, la più lunga e stretta d’Italia.
Una montagna di voti che ogni giorno di più somiglia ad un vulcano sul quale stare seduti è sempre più complicato. «Il punto è chiarissimo - spiega l’economista barese Gianfranco Viesti - se gran parte del consenso ai 5Stelle è derivato dalla volontà di rottura dell’elettorato italiano è altrettanto vero che su questa spinta di fondo si sono innestate battaglie territoriali che hanno visto i 5Stelle - in particolare proprio in Puglia - promettere soluzioni mirabolanti e veloci». Sono stati proprio i grillini a calvalcare per anni le battaglie per la chiusura dell’Ilva e contro il gasdotto Tap («Dal governo lo bloccheremo in due settimane», disse Alessandro Di Battista il 2 aprile 2017) che deve approdare in Italia, dal lontano Azerbaijan, 15 metri sotto la bella spiaggia di Melendugno.

SETTE POSIZIONI
I 5Stelle come riusciranno a gestire l’onda del consenso che si sta infrangendo sugli scogli della realtà? Cosa dirà il premier Giuseppe Conte - reduce dell’incontro con il presidente Usa Donald Trump che si è detto favorevole al gasdotto in chiave antirussa - ai 6.000 abitanti di Melendugno che il 4 marzo hanno plebiscitato il simbolo pentastellato col 63% dei voti?
Per i 5Stelle il rischio che uno dei loro più ricchi serbatoi di voti si trasformi in un Vietnam o nella Puglia Infelix immaginata da qualche commentatore è tutt’altro che teorico. Questo spiega lo sbandamento delle ultime settimane fra ordini e contro-ordini.

Sulla Tap, in particolare, l’esecutivo gialloverde ha espresso ben sette posizioni negli ultimi due mesi. Il 2 giugno il ministro per il Mezzogiorno, Barbara Lezzi, che è pugliese, ha detto che intendeva portare il fascicolo al “Comitato di conciliazione”. Solo 15 giorni dopo s’è lasciata scappare un possibilista «Dobbiamo prendere atto che c’è un trattato internazionale ratificato da 5 anni» per chiudere il 25 luglio con un secco: «Lavoriamo per fermare l’opera».
Anche il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha ribadito il suo “no” il 7 giugno e l’11 luglio. L’opposto di quanto affermato da Enzo Moavero, ministro degli Esteri che il 19 luglio ha scandito: «L’Italia manterrà gli impegni presi anche perché ci sono finanziamenti già decisi». E il sottosegretario Maurizio Santangelo anch’egli M5S ha sottolineato il 20 luglio che «La valutazione d’impatto ambientale (Via) ha giudicato idoneo alla Tap la spiaggia di San Luca di Melendugno mentre altri approdi, come quelli di Brindisi, non erano adatti a causa della presenza di piante marine protette».

Il territorio pugliese inizia ad essere percorso da un certo nervosismo. I sindaci, ad esempio, sono inquieti. Quello di Melendugno, Marco Potì, erede di una famiglia di antiche tradizioni socialiste con uno zio sindaco quando iniziò la storia della Tap, ma ora anch’egli schierato coi 5Stelle dichiara al Messaggero: «Io considero le posizioni di Trump sulla Tap come una ingerenza. Se fossi stato Conte avrei ricordato al presidente Usa cosa accadde a Sigonella. Glielo dirò anche quando verrà qui». Intanto il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, del Pd, ha disertato l’ultimo tavolo sull’Ilva convocato dal ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio. Il malessere per ora è segnalato a colpi di tosse ma i primi freddi autunnali non sono lontani.
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