La fatica di essere donne in politica: storia del “maschilismo parlamentare”

La fatica di essere donne in politica: storia del “maschilismo parlamentare”
di Paolo Di Paolo
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Sabato 21 Novembre 2015, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 20:30
Nelle classifiche internazionali, raramente siamo ai primi posti. In quella sulla parità di genere in politica, ci tocca la posizione numero 37, dietro Bangladesh, Mozambico, Bulgaria e Costa Rica. Né bastano a risollevarci i tanti discorsi di questi anni sulle quote rosa, come dimostra – pescando negli archivi della politica italiana – un libro appena uscito, Stai zitta e va’ in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo.



L’ha scritto un giornalista di SkyTg24, Filippo Maria Battaglia, classe 1984. Buon segno: che sia un uomo, e che abbia trent’anni. Battaglia ripercorre la nostra storia repubblicana – «una storia scritta da maschi» – e compone un florilegio di convinzioni e insulti sessisti degli ultimi settant’anni. Nemmeno i padri della Repubblica, a dire il vero, brillavano per apertura al mondo femminile, se Ferruccio Parri, nel ’45, se ne esce con un eloquente «Per sbagliare bastiamo noi. E sarebbe eccessivo che vi aggiungeste anche voialtre». Meglio spartire i ruoli con chiarezza. Eppure, nelle file della Resistenza, di donne ce n’erano state eccome: su circa 250mila combattenti, un settimo sono state donne. Una di loro, Ada Gobetti, si indispettiva nel considerare il nome (maschilista) proposto per i gruppi partigiani femminili: «di difesa della donna e di assistenza ai combattenti per la libertà». «Perché difesa e perché assistenza?» si domanda Ada. E in effetti, smarcarsi da un ruolo ausiliario per diventare protagoniste sarà una lotta faticosa e ostinata. Non è ancora finita.





L’ANGELO BIONDO «Abbiamo bisogno di voi soprattutto come spose e madri» dice Alcide De Gasperi al primo convegno nazionale del Movimento femminile della Democrazia cristiana. Il suffragio universale è conquista troppo recente, e alla socialista Bianca Bianchi – prima eletta all’Assemblea costituente, col doppio dei voti di Pertini – toccava vedersi descritta sui giornali come «angelo biondo», «la biondissima».



Meglio la frivolezza galante o le ingiurie sulla presunta bruttezza? Nel novembre del ’46, un settimanale politico-satirico elegge “Miss Racchia” Teresa Noce, anche lei nell’Assemblea costituente insieme a Nilde Iotti e Lina Merlin. Costretta a passare alla storia per una legge – quella che nel ’58 comportò la fine delle case chiuse. E il bello, si fa per dire, del dibattito di quegli anni è che gli oppositori della Merlin si appellavano alla “scienza”. Il socialista Pieraccini, premesso di non voler assimilare le prostituta alle delinquenti «in maniera assoluta», aggiunse che tuttavia si trattava perlopiù di «minorate intellettuali o morali».



E d’altra parte, è fra racchia e puttana che tuttora oscillano gli insulti politici in parlamento e fuori. Se sul primo fronte Rosy Bindi ha fatto nel tempo vasta collezione, da Storace («Non è neppure una donna») a Berlusconi, da Cossiga a Grillo; sull’altro, freschissimi onorevoli hanno rinverdito in modo demenziale il vecchio cliché «bella e cretina». Già nel ’48 – ci informa Battaglia – della comunista Laura Diaz, ventottenne eletta alla Camera con quarantamila preferenze, ci si chiede «se questo plebiscito sia offerto alla sua bellezza o alle sue capacità politiche».



D’altronde in una donna, e tanto più in una «deputatessa» – aggiunge un notista politico di allora – «è difficile distinguere dove finisca l’appello del sesso e dove incomincino le attrattive minori». Perfino a una madre della patria come Nilde Iotti (nel ’79 prima donna a essere eletta presidente della Camera) erano toccate a suo tempo considerazioni sulla procacità, e c’era chi la definiva «ridente e popputa», con un «enorme deretano».



LE PERCENTUALI Per conquistarsi credito, nel mondo del lavoro e sul campo politico, le donne fanno il quadruplo della fatica. Pivetti e Boldrini, le uniche finora succedute a Iotti sullo scranno di Montecitorio, ne sanno qualcosa. E perfino senatrici a vita – per meriti indiscutibili – come Rita Levi Montalcini o Elena Cattaneo hanno avuto il loro da fare con i maschilisti del Parlamento. Trasversali nella volgarità e nell’ottusità, come dimostra la preziosa e istruttiva carrellata di Battaglia.



Che chiude con almeno un paio di segnali incoraggianti: nella XVII legislatura, iniziata a marzo 2013, la percentuale delle parlamentari è salita dal 19,5% a poco più del 30%, superando così per la prima volta la media Ue.
Anche gli ultimi governi, in effetti, sono più rosa. Non basta, però: considerando i posti di vertice anche nella politica locale, i numeri precipitano di nuovo. A novembre dell’anno scorso, su 7238 sindaci solo 789 erano donne. Resta ancora valido l’assunto di Umberto Eco, datato - ahinoi - 1977: in politica, «essere una donna è una professione, come essere idraulico».
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