Pietro Castellitto: «Io, figlio d’arte in cerca d’autore»

Pietro Castellitto: «Io, figlio d’arte in cerca d’autore»
di Gloria Satta
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Martedì 4 Settembre 2018, 01:19 - Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 14:51
VENEZIA Tra i film della Mostra, ce n’è uno che il pubblico giovane aspetta con particolare impazienza: La profezia dell’armadillo (applaudito a Orizzonti, sarà in sala il 13 settembre), ispirato al best seller autobiografico del fumettista di culto Zerocalcare e diretto dall’esordiente Emanuele Scaringi.

Racconta con ironia la vita quotidiana di due under 30 alla periferia di Roma, quartiere Rebibbia, tra lavori precari, peripezie sui mezzi pubblici, amicizie, speranze, delusioni. Simone Liberati ha il ruolo del protagonista, Valerio Aprea è l’Armadillo, la sua coscienza critica. C’è anche un cameo del grande tennista Adriano Panatta, già virale sul web.

 


E nel cast spicca Pietro Castellitto che, con irresistibile disincanto, interpreta Secco, l’amico di Zero. L’attore, 26 anni, il naso importante del padre Sergio e gli occhi azzurri della madre scrittrice Margaret Mazzantini (è il promogenito dei loro quattro figli), sta facendo passi da gigante: capelli platinati, sarà Cencio, uno dei circensi protagonisti di Freak Out, il nuovo film di Gabriele Mainetti.

Cosa accomuna un ragazzo come lei, cresciuto tra Prati e Parioli, al mondo “marginale” di Zerocalcare?
«La voglia di trovare un universo poetico. Le generazioni passate hanno avuto a disposizione le ideologie, noi invece dobbiamo inventarci i nostri idoli. I miei sono lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, il filosofo Friedrich Nietzsche e il tennista Roger Federer».

Perché ammira il campione della racchetta?
«Mi commuove la sua capacità di gestire l’immenso talento che possiede rimanendo umile. Nella mia camera c’è un poster di Federer alto due metri, ho speso una fortuna per farlo incorniciare».

Lei gioca a tennis?
«Sì, e sono molto forte».

Venendo da una famiglia di artisti, si è sentito obbligato a recitare?
«No, al contrario ho cercato per anni di convincermi che dovevo fare altro, sia pure rimanendo nell’ambito artistico: lo sceneggiatore, forse lo scrittore. Le mie prime interpretazioni, quando non avevo ancora 20 anni, sono state giudicate con una severità eccessiva che non mi ha fatto sentire libero».

Non le perdonavano il fatto di essere un figlio d’arte?
«È così. Ho dovuto scontrarmi con i pregiudizi, ma poi li ho metabolizzati. Ci ho fatto il callo e ora vado avanti sereno per la mia strada».

Che tipo di carriera vorrebbe?
«Mi sono imposto dei parametri molto alti. Voglio fare solo cose di qualità».

Registi con cui lavorerebbe seduta stante?
«Martin Scorsese, Steven Spielberg, Woody Allen, Lars von Trier».

Da suo padre cosa ha imparato?
«La dedizione totalizzante al lavoro».

E dalla mamma?
«La necessità di essere sinceri con se stessi».

Anche lei, come molti suoi coetanei, non si sente rappresentato dalla politica?
«Non mi sento rappresentato totalmente, però a votare ci vado».

Cosa non le piace della sua generazione?
«Una certa omologazione. La tendenza a muoversi in gregge facendo le stesse scelte, frequentando gli stessi posti come se fossero tappe prestabilite. Ma alla nostra età le tappe bisogna bruciarle».

Abita ancora con mamma e papà?
«Ho la fortuna di avere due genitori che mi amano molto.
Ma il mese prossimo vado a stare da solo».
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