Uscite flessibili e assegni: così i giovani in pensione

Uscite flessibili e assegni: così i giovani in pensione
di Luca Cifoni
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Venerdì 1 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 01:05

Una pensione quasi irraggiungibile e comunque di importo esiguo: è l’immagine che ha del proprio futuro previdenziale chi è entrato da non troppo tempo nel mondo del lavoro (e a maggior ragione chi fa fatica ad accedervi). Questa visione consolidata trova però un riscontro solo parziale nelle regole vigenti - anche nella prospettiva della piena applicazione del metodo di calcolo contributivo - e nelle previsioni che ragionevolmente si possono fare per un arco di tempo così lungo.




La scelta del governo di predisporre fin d’ora un meccanismo di garanzia che assicuri comunque un trattamento minimo, per quanto opinabile dal punto di vista teorico, segnala che un problema di adeguatezza delle prestazioni future si pone senza dubbio; ma è chiaro che a determinare la situazione concreta degli anziani di domani sarà soprattutto il fattore lavoro. In uno scenario in cui l’aspettativa di vita è destinata a crescere chi avrà un’occupazione stabile, senza significativi buchi di carriera, potrà contare su una prestazione previdenziale confrontabile con quelle attuali; mentre si troverà in difficoltà chi non è riuscito a conquistare uno status lavorativo di questo tipo.

ADEGUAMENTO AUTOMATICO
Il primo aspetto da chiarire riguarda il momento del pensionamento. Proprio il meccanismo di adeguamento automatico alla speranza di vita è destinato a spingere in avanti il requisito di età per la pensione di vecchiaia, per quanto probabilmente ad un ritmo leggermente meno serrato di quanto si ipotizzava fino a poco tempo fa. Dopo i 67 anni del 2019 si dovrebbe passare ai 68 nel 2031, ai 69 nel 2045 e ai 70 a partire dal 2057. Per lasciare il lavoro prima servono già da oggi 42-43 anni di contributi, requisito destinato a sua volta a crescere. Ma per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi (ovvero dopo lo spartiacque fissato a suo tempo dalla riforma Dini per la piena applicazione del metodo contributivo) c’è un’opzione in più, oggi poco conosciuta e di fatto ancora inutilizzata: il pensionamento anticipato “flessibile” che si può ottenere tre anni prima, ovvero a 63 anni e 7 mesi secondo i requisiti attuali, che diventeranno ad esempio 65 quando l’età per la vecchiaia toccherà i 68. Per poterne usufruire basteranno 20 anni di contributi, ma proprio in chiave di adeguatezza della prestazione la legge richiede che si sia maturato un trattamento pari a 2,8 volte l’assegno sociale Inps (oggi circa 450 euro al mese): la Ragioneria generale dello Stato (Rgs) calcola che questo requisito possa essere comunque raggiunto nella maggior parte dei casi con 38 anni di contributi: comunque meno degli oltre 40 di non è ancora nel contributivo pieno. Sempre per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi è prevista un’altra soglia di importo in caso di pensione di vecchiaia: un trattamento pari a 1,5 volte l’assegno sociale (valore che il governo potrebbe ridurre). Chi è sotto dovrà continuare a lavorare ma potrà comunque andarsene ad un’età oggi fissata a 70 anni e 7 mesi (destinata a crescere) con almeno cinque anni di contribuzione: una sorta di uscita di sicurezza.

LE STIME
Ma di che tipo di pensioni si sta parlando? Le stime sono naturalmente difficili perché dipendono da una serie di fattori come l’evoluzione delle retribuzioni e dell’economia del Paese. In generale il metodo contributivo, che tra l’altro sempre sulla base dell’allungamento della vita media prevede anche la riduzione automatica dei coefficienti di trasformazione applicati al momento dell’uscita e quindi degli assegni, risulta meno vantaggioso del precedente retributivo.

Ha però la caratteristica di premiare le carriere “piatte” rispetto a quelle che godono di bruschi aumenti, e valorizza ai fini del quantum gli anni lavorati ritardando il pensionamento. Così nel caso dei lavoratori dipendenti - secondo i calcoli della Rgs - il tasso di sostituzione netto (rapporto tra ultima retribuzione e prima rata di pensione) scenderebbe dall’84,3 per cento del 2010 al 70 del 2050 in caso di uscita con 38 anni ma resterebbe sostanzialmente allineato (78,8 per cento contro 79,4) con il pensionamento di vecchiaia alle soglie dei 70 anni. Gli attuali livelli potrebbero però essere raggiunti o anche significativamente superati grazie alla previdenza integrativa: altro elemento che i lavoratori giovani devono considerare con attenzione.

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