Pensioni, la carica dei 600 onorevoli: scatta l'assegno per deputati e senatori di prima nomina

(Foto Ansa)
di Diodato Pirone
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Martedì 12 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 18:42

Meno tre. Per 608 parlamentari alla prima legislatura mancano tre giorni al mitico venerdì 15 settembre, ovvero alla data distante 4 anni sei mesi e un giorno dall’avvio della legislatura che - come da legge di riforma dei vitalizi approvata nel 2011 - garantisce la pensione ai parlamentari alla prima legislatura.

Pensione o vitalizio? Vitalizio di nome ma pensione di fatto visto che il trattamento sarà calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati (come accade a tutti gli italiani) e scatterà non prima dei 65 anni, che però possono diventare 60 in caso di rielezione per almeno altri, fatidici, 4 anni 6 mesi e un giorno.

Resta il fatto che una delle ragioni non scritte per cui dopo il referendum del 4 dicembre 2016 non sono scattate le elezioni anticipate è stata proprio la necessità (dei parlamentari) di arrivare al 15 settembre 2017 per “aver diritto” alla pensione pagata da Montecitorio o Palazzo Madama. Un diritto di “massa”. Perché stavolta l’onore della prima legislatura non era riservato alla solita pattuglia di ragazzini che entravano in Parlamento ad ogni rinnovo. No. Nelle elezioni del 2013 ci fu un rinnovamento gigantesco degli eletti in Parlamento tanto che i deputati e i senatori alla prima esperienza (e dunque fatalmente interessati a tagliare il traguardo del 15 settembre) sono ben 608 su 945, praticamente due su tre.

IL DANNO E LA BEFFA
Per i 608 se la legislatura fosse finita prima oltre al danno sarebbe scattata anche la beffa. Infatti non solo non avrebbero ricevuto la pensione ma avrebbero anche perso i contributi versati destinati a rimanere per sempre nelle casse delle due Camere. E si tratta di belle cifrette perché i parlamentari (così come tutti i lavoratori italiani) accantonano ogni mese un terzo circa della loro paga per vedersela restituire come pensione. Ogni deputato versa di proprio più o meno 1.000 euro al mese (cui si aggiungono i versamenti del datore di lavoro, Camera o Senato). Dunque il calcolo è facile: le elezioni anticipate sarebbero state un salasso per i 608 che, se si fosse votato a maggio o giugno di quest’anno, avrebbero visto andare in fumo circa 40.000 euro di versamenti previdenziali già pagati di tasca propria.

In Parlamento la possibile perdita del lauto gruzzolo previdenziale resta un tema caldo. La beffa è uno spettro reale per una ventina di deputati e senatori che negli anni successivi all’avvio della legislatura sono subentrati a colleghi dimissionari o chiamati ad altri incarichi. Costoro non raggiungeranno mai i 4 anni e mezzo di soglia minima per la pensione e si stanno adoperando almeno per non bruciare i loro contributi.

Fra i 608 che il 15 settembre potranno brindare si contano tra gli altri tutti i 154 eletti con il Movimento 5 Stelle (che ora sono scesi a quota 123 poiché una trentina sono stati espulsi o hanno cambiato casacca), oltre 200 parlamentari eletti col Pd e una quarantina dei 54 eletti di quella che fu Scelta Civica.

Quanto otterranno a 65 anni coloro - la grande maggioranza - che non saranno rieletti nel 2018? La cifra dovrebbe aggirarsi sui 1.000-1.100 euro al mese che in molti casi si aggiungeranno ad altre rendite previdenziali dovute ad altri lavori.

Sempre che la legge che nel 2011 abolì i vitalizi parlamentari per il futuro e introdusse il calcolo contributivo per gli onorevoli (dal 2012) nel frattempo non cambi.

Nei prossimi giorni, in Senato, si riaprirà la discussione sulla legge del deputato Pd Matteo Richetti, approvata a luglio dalla Camera, che intende ricalcolare con il contributivo anche i 2.600 vecchi vitalizi oggi in pagamento e che per i futuri pensionati ex parlamentari impedirebbe di ottenere la pensione a 60 anni se rieletti. La legge Richetti - al centro di una rissa da marketing politico che poco ha a che fare con i suoi contenuti - probabilmente sarà modificata e dovrà tornare alla Camera.

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