Paolo Rossi: «Io, uno scavezzacollo proprio come Molière»

(Foto di Paolo Rizzo/Ag.Toiati)
di Filippo Bernardi
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Giovedì 2 Febbraio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 01:18

Comico, scavezzacollo, quindi in continuo conflitto con il potere, e dalla vita sentimentale a dir poco vivace: tre figli da tre matrimoni e la prima ex moglie, Lucia Vasini, che lavora al suo fianco sul palcoscenico. La prima domanda che viene da fare a Paolo Rossi è: “Ma come fa?” La risposta è che non potrebbe fare altrimenti perché tutto dipende dal quel «discreto dosaggio di anarchia» che è da sempre parte del suo carattere.
 


 
È colpa di quello se non la vediamo più in tv?
«Io ormai le reti tv le chiamo le 7 sorelle. Se in passato sono riuscito a fare certe trasmissioni è grazie a una sorta di vuoto di potere e ad Angelo Guglielmi che oltre ad essere un direttore Rai era un intellettuale e un artista. Poi è tornato tutto come prima e allora non ne vale la pena. Le mie cose passano sui canali tematici: Sky Arte e Rai5».

A teatro, con “Molière: la recita di Versailles” (al Vittoria di Roma dal 2 al 12 febbraio) interpreta il commediografo francese ma anche se stesso. In che cosa si sente Molière?
«Primo: i casini. Ha avuto un sacco di casini. E io pure. Poi gli inizi quasi simili, pagati poco e male o non pagati. Lui fu arrestato per debiti, io no perché non si usa ma se si usasse forse avrei pareggiato i conti. E poi la vita sentimentale molto frastagliata e difficoltosa, la gestione della compagnia, il potere...»

Qual è il suo rapporto con il potere?
«Be’, è simile a quello di Molière. Al suo tempo, nel ‘600, c’erano due strade: una era quella degli “scavalcamontagne” che andavano a lavorare per strada. E l’altra era quella di chi trovava una protezione: un re, un principe o un nobile. Oggi la protezione consiste nelle sovvenzioni e nelle clientele».

E lei che protezione ha?
«Io non ho mai avuto nessun tipo di sovvenzione e chi mi ha dato da mangiare è sempre stato il pubblico. Ora, però, con “La recita di Versailles” prodotto dallo Stabile di Bolzano, mi capita di lavorare con un direttore, Walter Zambaldi, che garantisce autonomia. Ma è una protezione capitata per caso».

Lo spettacolo lascia molto spazio all’improvvisazione. Ma come si fa a improvvisare quando si è in 12 sul palco?
«Il teatro, anche se porta in giro discorsi di emancipazione e democrazia, non è un luogo democratico come non lo è una nave. C’è un capitano, che in questo caso sono io, e poi c’è la ciurma, ci sono i mozzi e via via a scendere. E’ contemplato l’ammutinamento, per cui in realtà tutto quello che sembra estemporaneo è molto ben congegnato e preparato, quello che invece sembra replicato a volte è totalmente free jazz, è sospeso».

A proposito di democrazia, cosa pensa della politica di oggi?
«Fin dai tempi di Aristotele dicono che il teatro sta per morire e invece muoiono tutti e il teatro è ancora lì. Io credo che saranno i partiti a estinguersi. Ormai anche i 5 stelle sono un partito, sebbene con qualche particolarità. A me interessa molto di più la strada».

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