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Ottavia Piccolo e il film “Serafino” girato a Arquata: «Ricordo ancora quel profumo del pane»

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Sabato 27 Agosto 2016 di Fabio Ferzetti
  • 770
Quarantotto anni non sono uno scherzo ma Ottavia Piccolo ricorda bene Arquata del Tronto, dove nel 1968 girò uno dei film più controversi di Pietro Germi, Serafino, lei 19 anni appena accanto a un Celentano al massimo della fama. Uno dei pochi nella troupe che stava in albergo ad Amatrice, in quell’Hotel Roma che oggi non esiste più. Mentre la giovanissima attrice rivelatasi col Gattopardo aveva preso casa ad Arquata con sua madre, «perché le riprese durarono un mese e mezzo, io ero minorenne, allora la maggiore età arrivava solo a 21 anni. E poi ero figlia di un carabiniere, figuriamoci se mia madre mi mollava!».

LE RONDINI<QA0>
Di Arquata oggi Ottavia ricorda anzitutto gli abitanti, «così gentili e diretti, gente vera, affabile, meravigliosa, che viveva molto semplicemente in un clima di serena condivisione». Poi «gli animali che circolavano per le strade, pecore, capre, cani naturalmente, il film raccontava proprio la storia di un pastore e tra quei monti Germi aveva trovato il quadro ideale per quella strana fiaba ecologista in anticipo sui tempi». Ma l’attrice romana ricorda anche come fosse oggi il sapore del pane di Arquata, «un pane casareccio cotto a legna, profumato, buonissimo, non le rosette o le ciriole dure come sassi che mangiavo in quegli anni a San Paolo, il quartiere in cui sono cresciuta. E non avevo mai visto da vicino nemmeno le rondini, che invece lì avevano fatto il nido proprio sul balcone di casa».
In quella casa viveva la famiglia Ambrosi, che si era ritirata al piano di sotto lasciando all’attrice e alla madre il piano superiore. La Piccolo non lo sa ma Emilia e Salvatore Ambrosi, allora poco più grandi di lei, ricordano ancora il giorno in cui la accompagnarono in 500 fino ad Ascoli per portarla dal parrucchiere. E non se ne ricordano solo loro perché l’arrivo di Germi e della sua troupe fu un vero evento, una pacifica invasione che sconvolse tutte le consuetudini portando i ritmi e le follie del cinema a Spelonga, Arquata, Amatrice, dove il film di Germi fu girato quasi per intero, con pochissime aggiunte fatte in studio, tanto gli ambienti erano ideali.

IL CIRCOLO RICREATIVO
Germi poi aveva eletto a residenza il circolo ricreativo di Arquata, che oggi purtroppo è un ammasso di macerie, dove sedeva a fumare l’immancabile toscano lanciando occhiate intorno in cerca di comparse. Lì infatti trovò un medico e un maestro del posto, il dottor Leonetti e il professor Orfeo, che nel film interpretano il giudice e l’avvocato nella scena del processo. Ma lo stesso Celentano, che di bar a Milano ne aveva visti tanti, appena era libero si piazzava al circolo per giocare a biliardo, come ai bei tempi.
Fino alla grande festa di fine riprese, questa Ottavia se la ricorda eccome, «quando Celentano impugnò la chitarra e iniziò a cantare, una serata che non finiva più, con tutto il paese riunito ad ascoltare e qualche volta a cantare con lui, anche perché quelli erano davvero gli anni d’oro di Celentano. Io sul set, devo dirlo, non legai molto, era troppo divo, aveva sempre il suo cordone di sicurezza intorno; e poi volle doppiarsi da sé, lui milanese, inventandosi un impasto di accenti assurdi che non si poteva sentire. Ma quando cantava era tutta un’altra faccenda, veniva dal successo di Azzurro, era un mito, nella sua voce ci cascavi dentro». 

Anche se non c’era solo l’allegria. «Proprio in quei giorni uccisero Robert Kennedy», dice bruscamente la Piccolo. «Sono ricordi che ti porti dentro una vita, noi lì in quel luogo sperduto, bellissimo, e di colpo quella notizia terribile». Da allora ne è passato di tempo, la giovane promessa oggi è un pezzo di storia del cinema e del teatro, un’antidiva che ha scelto di vivere al Lido di Venezia «perché mi piace il posto, la luce, quel misto di terra e di mare», non certo per la Mostra del Cinema. Anche perché ai trucchi della settima arte forse non ha mai creduto davvero. «Per fare Lidia, la giovane contadina figlia di Saro Urzì che si fidanza con Serafino/Celentano, mi imbottirono seno e sedere, dicevano che ero troppo magra». 
 
Ad Arquata invece sembrava tutto vero, forse era tutto vero. Anche sua madre che insegnava alla padrona di casa, bel paradosso in quella terra di cuochi, a cucinare la pajata. Un posto difficile da lasciare. E infatti, come Cenerentola, la giovane attrice partendo dimenticò lì un paio di mocassini. Che poi la padrona di casa portò per anni, scherzando: «sono i mocassini della Piccolo!». 
Ad Arquata, malgrado le tournée, Ottavia non sarebbe più passata, «sono i casi della vita e del mestiere». Ma in cima al paese, lei non lo sa, la casa in cui visse è tra le poche ancora miracolosamente in piedi.
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