LE PRIORITÀ Perché? Per un semplice e, spesso, difficilmente raggiungibile autentico quieto vivere. Non un perdono sostenuto unicamente dal credo ma un passaggio della mente in grado di digerire davvero, separare le priorità e guardare dove ancora non si è guardato. «Quando chiedo a qualcuno perché vuole perdonare o essere perdonato - aggiunge Lumera - le risposte sono più o meno sempre le stesse: per smettere di soffrire, per levarsi un peso dal cuore, per recuperare una relazione, per liberarsi dal senso di colpa, per guarire». Prima regola: se si vuole comprendere cosa sia il perdono tocca, innanzitutto, dimenticare ciò che si sa, si pensa, si suppone o ci è stato insegnato. L’ipotesi è quella di far della mente un foglio bianco (esercizio complesso) sul quale riscrivere.
«Le offese - spiega la dottoressa Laura Maria Zorzella, docente del corso - provocano, in chi le subisce, una sofferenza persistente, che ne altera il benessere psicofisico. Dal punto di vista cognitivo, sentirsi offesi provoca incredulità, smarrimento, senso di impotenza che, sul piano emotivo, possono in rabbia, indignazione, vergogna ma anche paura. Tutto ciò porta a covare sentimenti di fuga che vogliono dire alcol o droga». Il raggiungimento del perdono (dopo aver identificato il “nemico”) permette di liberarsi da situazioni stressanti, a consolidare stati mentali e comportamentali «più adattivi allo stato delle cose aggiunge Zorzella - talvolta perfino a ritrovare un senso sul piano esistenziale».
LE SITUAZIONI Capitolo dopo capitolo Lumera disegna situazioni nelle quali è possibile rispecchiarsi e offre esercizi per uscire dalle difficoltà. Da come acquisire consapevolezza di ciò che proiettiamo sugli altri alla via per scoprire la propria “dieta emozionale” fino ad imparare a scegliere senza far intervenire la ragione. Scoprire la “dieta emozionale” significa riconoscere le proprie emozioni senza vergognarsi di provare, per esempio, paura o senso di colpa. In questo caso l’indicazione è quella di fare cinque liste divise tra le emozioni che conosciamo, quello che si prova più spesso, ciò che si avverte con maggiore intensità, il fastidio più frequente o i sentimenti che non riescono ad arrivare. Questo per prendere coscienza della propria “dieta emozionale” identificando le sensazioni dalle quali siamo dipendenti. Forse proprio quelle che ci portano ai conflitti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA