Venezia, Natalie Portman è Jackie Kennedy: «Il ruolo più difficile della mia vita»

Venezia, Natalie Portman è Jackie Kennedy: «Il ruolo più difficile della mia vita»
di Gloria Satta
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Giovedì 8 Settembre 2016, 00:28 - Ultimo aggiornamento: 15:50

Il 22 novembre 1963, quando il presidente John F. Kennedy venne assassinato a Dallas, sua moglie Jacqueline aveva 34 anni e una vita, una storia, un’immagine pubblica da reinventare. Natalie Portman, che restituisce sullo schermo la figura complessa e affascinante della First Lady più famosa di sempre nel film Jackie di Pablo Larraín, applaudito in concorso, ne ha 35, una carriera ultraventennale alle spalle, una laurea in psicologia ad Harvard e un Oscar vinto per Il cigno nero.

Minuta ma carismatica, gli occhi profondi, l’attrice multiculturale per eccellenza (nata in Israele, è naturalizzata americana e ha sposato un francese, il coreografo Benjamin Millepied) racconta le sue emozioni.

Qual è stata la sua prima reazione quando le è stato proposto di interpretare Jackie?
«Mi sono sentita terrorizzata. Ho pensato che fosse un’idea folle portare sullo schermo una figura realmente esistita e così conosciuta. Ero sicura che non ce l’avrei fatta».

E cosa le ha fatto cambiare idea?
«La presenza di Larraín. Ammiravo il suo cinema profondo, fuori dagli schemi. E mi sono convinta che avrebbe realizzato un film speciale».

 

Cosa sapeva di Jackie Kennedy?
«Più o meno quello che sanno tutti: che era affascinante, colta, ben vestita. Di lei si è sempre parlato come personaggio pubblico e mai come essere umano. Sono felice di aver potuto raccontare il suo lato più intimo».
 
Che cosa ha scoperto della mitica First Lady?
«Un’umanità insospettabile. In pubblico mostrava un volto, in privato era un’altra persona. Forte e vulnerabile, determinata e fragile, timida e fredda. Ha vissuto in prima persona l’assassinio del marito e gestito le ore successive, mentre fino al giorno prima doveva preoccuparsi dell’arredamento della Casa Bianca».

Ha incontrato Caroline Kennedy, la figlia di Jackie e JFK?
«No, ho voluto rispettare la sua privacy. Il film, sia pure ispirato alla realtà, è comunque un’opera di finzione».

Come si è documentata?
«Leggendo, ascoltando le conversazioni di Jackie con lo storico Arthur Schlesinger, riguardando all’infinito i filmati dell’epoca per imparare a muovermi e a parlare come lei senza essere una caricatura».
 
Qual è, a suo avviso, la portata storica di Jackie?
«Ha capito quanto fosse importante esaltare l’identità americana anche attraverso gli edifici e gli oggetti: per questo ristrutturò la Casa Bianca e volle mostrarla in tv».

Michelle Obama è una sua erede?
«Non saprei, Jackie è stata unica. E credo sia venuto il momento che l’America sia governata da una donna».

La vittoria di Hillary Clinton significherebbe che la parità dei sessi non è più un miraggio?
«Il cammino è lungo, ma più il cinema rappresenta figure femminili forti e vincenti, più la società imparerà ad accettare che le donne abbiano un potere».

Hollywood comincia a cambiare, da questo punto di vista?
«Parlare con insistenza della disparità di genere sta producendo i suoi effetti: sempre più spesso gli studios danno fiducia alle registe e puntano su protagoniste femminili. Ma la battaglia non è ancora finita».

Ha girato il primo film, Léon, a 13 anni, poi è diventata una star e l’anno scorso ha diretto “A Tale of Love and Darkness”. Perché ha voluto diventare regista?
«Per esprimere la mia visione. Dopo oltre vent’anni di carriera mi sentivo pronta e spero di fare il bis».

Alla Mostra, nella sezione Orizzonti, ha anche il film “Planetarium”: di che si tratta?
«Diretto da Rebecca Zlotowski, racconta la storia di due sorelle dai poteri medianici (l’altra è Lily-Rose Depp, ndr). Per la prima volta sono stata diretta da una donna: bellissima esperienza».
 

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