Il panico tra i 400 peones: con le urne addio pensione e persi 4 anni di contributi

Il panico tra i 400 peones: con le urne addio pensione e persi 4 anni di contributi
di Claudio Marincola
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Mercoledì 7 Dicembre 2016, 00:05
ROMA Ne parlano fra loro sottovoce misurando bene le parole. E intanto sgranano il rosario, i giorni che mancano al raggiungimento dei requisiti necessari alla “pensione”. Sono i peones. I deputati che in caso di elezioni anticipate potrebbero tornarsene a casa. E addio assegno. Il loro è un partito trasversale, sotterraneo. L’obiettivo inconfessabile è restare in carica almeno 4 anni, 6 mesi e 1 giorno, la soglia fissata dal regolamento in vigore il 1° gennaio del 2012. 

Conti alla mano si tratterebbe di restare aggrappati alla poltrona fino alla fine del settembre 2017. Dati i tempi e date le turbolenze un‘impresa mica da poco. Un rodeo in cui chi cade è perduto. E se ne andrebbe in fumo non solo il diritto all’assegno - che per chi avrà solo una legislatura scatterebbe a 65 anni - ma anche tutti i contributi versati. Ed è questo il punto. Una questione assai delicata.

Riguarda almeno 400 deputati che alla loro prima legislatura. Grillini ex grillini, buona parte del Misto e 209 dem. Che possano influenzare le scelte dei loro capi è tutto da vedere. Il secondo governo Prodi durò un anno, 11 mesi e 177 giorni e in tanti erano pronti a scommettere che sarebbe rimasto in vita solo per assicurare un futuro previdenziale a tutti. 

IL VULNUS
Ora la storia si ripete. Se i peones non verranno ricandidati lasceranno nelle casse della Camera i soldi versati in questi anni. Non ci sarà verso di recuperarli. «Il problema è politico, non abbiamo nessuna paura di di tornare a casa», giura Khalid Chaouki, 34 anni, deputato dem che vede la pensione come una cosa molto lontana.
Riguarda tutti, specialmente i neofiti del M5S. Ma i primi a sollevare il problema sono stati a Montecitorio i deputati subentrati nel corso della legislatura. «È un vulnus che abbiamo posto più volte - spiega Marco Bergonzi, deputato pd, piacentino, subentrato nell’ottobre 2014 a Federica Mogherini - non vogliamo nessun privilegio però l’attuale meccanismo non ci consente, comunque vada, di maturare i requisiti necessari». Nella stessa condizione si trova Emiliano Minnucci, ex sindaco di Anguillara Sabazia, subentrato nel giugno del 2014 ad Enrico Gasbarra, eletto a Bruxelles, «e mi ritroverò con un buco contributivo». 

I versamenti dei parlamentari - anche dei senatori, dunque - si configurano a tutti gli effetti come una gestione separata. Non si possono ricongiungere ne riscattare. Se non si raggiunge il tetto dei 4 anni 6 mesi e 1 giorno i contributi confluiscono in un fondo. A proporlo in contemporanea con l’età pensionabile per tutti gli italiani fu il governo Monti. «Facemmo un lavoro serio per correggere ingiustizie e privilegi ma non mi stupisco se ora qualcuno considera quel regolamento “punitivo”», spiega Maria Luisa Gnecchi, deputata pd alla seconda legislatura. Lo scrisse con l’economista Giuliano Cazzola, esperto di previdenza, nonché esponente del Ncd. «Il nostro obiettivo - continua la Gnecchi - era rendere il trattamento dei parlamentari simile a quello degli altri cittadini. Anche all’Inps chi non raggiunge i vent’anni di servizio non ha diritto a nessun trattamento previdenziale».

Il vulnus dei contributi silenti allungherà la vita ai governi e alle legislature? «Lo escludo - giura Tommaso Currò, ex dissidente approdato al Pd -non sarei sincero, però, se non ammettessi che tra noi parliamo anche di questo».
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