Mps, così gli indennizzi: Stato azionista a tempo

Mps, così gli indennizzi: Stato azionista a tempo
di Andrea Bassi e Rosario Dimito
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Mercoledì 21 Dicembre 2016, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 19:13
ROMA Il giorno del giudizio per il Montepaschi è arrivato. Oggi dovrebbe essere certificato il venir meno della prima gamba, quella principale dell’operazione di mercato: la conversione volontaria dei bond retail per un totale di 2,1 miliardi. E a questo punto diventa provvidenziale il salvagente pubblico attraverso il decreto del governo che verrà varato forse domani: 20 miliardi da utilizzare per Mps, ma anche per Popolare di Vicenza, Veneto banca, Cassa di Cesena, Cassa di Rimini e Cassa di San Miniato. Nel salvataggio non dovrebbe rientrare Carige che non si trova nelle condizioni per auspicare l’intervento pubblico. 
L’equity atteso (1,5 miliardi) dalla conversione dei bond retail Mps si sarebbe dovuto aggiungere al miliardo di conversione degli strumenti subordinati degli istituzionali, al miliardo circa atteso dal Qatar e, dal residuo a 5 miliardi, del collocamento delle azioni sul mercato. Di questo combinato disposto ci sono solo il miliardo della conversione degli istituzionali e 500 milioni di quella delle famiglie che si chiude oggi alle 12: ieri sarebbero arrivati 350 milioni L’obiettivo è ancora lontano così come le otto banche guidate da JpMorgan e Mediobanca, in forza di un accordo di agency, non avrebbero raccolto nel bookbuilding in corso fino a domani, prenotazioni da parte del mercato. Dove regna il pessimismo più assoluto, anche perché oltre ai risparmiatori anche i fondi di investimento che hanno poco meno di 3 miliardi di bond ad alto rischio hanno disertato. 

LE RIUNIONI DEI DUE FONDI
Il Tesoro, dunque, si prepara a fare il suo ingresso in Montepaschi attraverso una nazionalizzazione temporanea della banca che sarà decisa con uno o più decreti che potrebbero essere approvati in consiglio dei ministri domani o al più tardi venerdì. Sempre ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha presentato alla Camera la richiesta di aumentare il debito pubblico di 20 miliardi per soccorrere il sistema bancario «nel caso si manifestassero rischi per i risparmiatori». Quindici miliardi serviranno per ricapitalizzare le banche, altri cinque miliardi per attivare quelle garanzie di liquidità fino a 150 miliardi già autorizzate a luglio dalla Bce. Potrebbero servire per arginare la fuga di depositi. Solo nei primi nove mesi del 2016, Mps ha perso 20 miliardi di raccolta. Due miliardi da quando il governo è stato bocciato al referendum. Ma cosa dirà esattamente il decreto?
Il testo è in fase di declinazione. Ieri a Roma si sono riuniti gli organi del Fondo interbancario di tutela dei depositi e del Fondo volontario. Nel primo sarebbe stato approvato il nuovo regolamento della contribuzione corretta per il rischio in applicazione delle ultime direttive Eba: in pratica le banche più solide verseranno meno al Fondo obbligatorio rispetto a quelle più deboli che metteranno di più: uno dei tanti controsenso dei Vigilanti europei. Dalle discussioni del Fondo volontario, presieduto da Salvatore Maccarone e guidato da Giuseppe Boccuzzi, entrambi in stretto raccordo con Bankitalia e Tesoro, sarebbe venuto fuori che il decreto non dovrebbe contenere i nomi delle banche destinatarie del salvataggio ma dalle indicazioni sarà possibile ricostruire i beneficiari: oltre Siena, le due venete prossime alla fusione che devono alzare gli accantonamenti su crediti, Rimini che necessita di 100 milioni di capitale, Cesena già salvata dallo schema volontario e San Miniato anch’essa bisognosa di una terapia extra di 130 milioni.

A questo punto la domanda fondamentale è cosa succede a chi ha i propri soldi depositati o investiti in Mps. Per i correntisti non succederà nulla. L’intervento dello Stato sarà «precauzionale» in base alle regole della direttiva Brrd. Non scatterà cioè, il famigerato bail in, il meccanismo che obbliga anche chi ha un conto corrente superiore a 100 mila euro a partecipare alle perdite della banca. Scatterà invece il sistema più soffice del «burden sharing». Cosa significa? Che gli unici davvero a rischio sono i detentori di azioni e di obbligazioni subordinate, quelle considerate più a rischio. Queste ultime verrebbero convertite forzatamente in azioni ad un valore che sarà stabilito dal decreto, ma che sarà sicuramente molto basso (oggi valgono la metà del nominale). Ci sarà comunque un meccanismo risarcitorio che sarà valido però, solo per i risparmiatori retail, non per gli istituzionali, sul modello di quanto fatto per Etruria, CariFe, CariChieti e Banca Marche. In quel caso furono assegnati rimborsi forfettari dell’80% dell’investimento a chi poteva dimostrare un reddito Isee inferiore a 35 mila euro e un patrimonio mobiliare non superiore a 100 mila euro. Ieri sulla vicenda delle banche è intervenuto anche Ignazio Visco. Secondo il governatore «le banche non sono imprese come le altre», alla base del loro operare vi è la fiducia e «se questa viene a mancare anche solo per una banca, è l’intero sistema che può essere colpito». Per questo, ha detto, è ammissibile una rete di sicurezza pubblica.

 
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