Matteo da “traditore” a delfino: «Ma da Silvio tante fregature...»

Matteo da “traditore” a delfino: «Ma da Silvio tante fregature...»
di Renato Pezzini
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Martedì 25 Novembre 2014, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 00:15
Bobo Maroni se la rideva sotto i baffi quando, un anno fa, consegnò a Matteo Salvini le chiavi della Lega Nord.

Gli aveva appena sbolognato la gestione di un partito in coma profondo, un movimento senza prospettive politiche e con molti debiti da saldare. I maligni dicevano che il pavido Maroni, sistematosi comodamente alla presidenza della Lombardia, avesse scaricato sul fido e giovane scudiero l’imbarazzante ruolo del becchino: «Perché la Lega è morta, tocca a Matteo celebrarne il funerale».

Adesso Berlusconi lo definisce «il goleador del centrodestra», e c’è da stropicciarsi gli occhi dall’incredulità. Lui se ne sta a Bruxelles e se la gode: gli sono bastati meno di dodici mesi per ribaltare tutto. Certo, sulle montagne russe del centrodestra un giorno sei «il delfino» e il giorno dopo «il traditore», però vuoi mettere la soddisfazione di aver costretto il Cavaliere a parlare della Lega non più come di un gregario imbarazzante da sopportare, ma come un partito capace di sfornare un potenziale leader della coalizione?



DIFFIDENTE COL CAVALIERE

«Calma e gesso» dice ora Salvini a suoi che lo tempestano di telefonate. Fra tutti i leghisti d’un certo rango, è quello che fra sé e Berlusconi ha sempre alzato un muro di diffidenza. Certi endorsement provenienti da Arcore vanno presi con le molle: «Chissà, dietro può esserci il trucco. Di fregature ce ne ha già rifilate tante, troppe». Quindi, avanti come nulla fosse successo. Venerdì il consiglio federale, sabato a Lione ospite del Front National di Marie Le Pen, domenica famiglia e Milan. Poi si vedrà.

D’altronde, Salvini da qualche settimana va dicendo che per scegliere il «goleador» del centrodestra ci vogliono le primarie. Accettare un’investitura del Cavaliere sarebbe una contraddizione, un atto di narcisismo, e un duro e puro non cede a tentazioni simili. Anche perché il «giovane Salvini» politicamente parlando non è giovane affatto ed è tutt’altro che ingenuo. Sta in pista da quando aveva 17 anni, frequentava uno dei licei classici più fighetti di Milano (il Manzoni), e si iscriveva alla Lega: era il 1990.



L’ELOGIO DI BOSSI

Umberto Bossi, dopo l’inatteso 6 per cento alle Europee del maggio, dovette capitolare: «Matteo è stato bravo. Ha imparato da me come si fanno le campagne elettorali». Un riconoscimento non da poco visto che il senatur, in tanti anni, non ha mai digerito quel giovanotto entrato per la prima volta in Consiglio Comunale a Milano nel 1993. Erano i tempi in cui portava l’orecchino, vantava frequentazioni del centro sociale Leoncavallo, e metteva le basi per capitanare quelli che ai tempi del sedicente parlamento del nord si definirono «comunisti padani».



Che sia un tipo sveglio non lo nega nessuno. Ed è vero che da Bossi ha imparato più di ogni altro: anche a cambiare abito a seconda delle utilità. Una volta «comunista padano» e un’altra volta (2009) propugnatore dell’istituzione di carrozze della metropolitana riservate agli italiani. Una volta teorico dell’antifascismo, e un’altra volta alleato con i neo fascisti di mezza Europa. Una volta (un anno fa) aperturista sulle unioni gay, un’altra volta (oggi) strenuo difensore della «famiglia tradizionale».

A proposito di famiglia. Adesso sta con una compagna - Giulia Martinelli - casualmente assunta a chiamata alla Regione Lombardia. Prima era sposato con una giornalista che, sempre casualmente, guadagnò un lauto contratto col Comune di Milano. E quando venne eletto per la prima volta in Europa assunse come portaborse il fratello di Umberto Bossi, Fabio, titolare di un’officina in quel di Fagnano Olona. Però va anche detto che quando vennero fuori del magagne del Trota e del tesoriere Belsito fu tra i più convinti sostenitori del «repulisti generale».



LA LEZIONE DI BORGHEZIO

Anche se Salvini non lo ammette, c’è un altro leghista a cui si è ispirato: Mario Borghezio, il vate del secessionismo. Dal quale ha imparato che per far parlare di sé bisogna spararle grosse, indipendentemente da quel che si pensa, e così è diventato un piatto prelibato per giornali e tv: fai parlare Matteo e un titolo arriva. Poco importa che sia un’invettiva contro i meridionali o una mitragliata contro qualche alleato.



Alle 300 mila preferenze personali delle ultime Europee e al 18 per cento in Emilia Romagna ci è arrivato così: sparandole grosse, e sapendosi adattare alle situazioni. Ha lanciato la campagna contro l’Euro, ha proposto un referendum contro la legge Fornero, ha bazzicato per le periferie disastrate di tutta Italia, ha raccontato che l’alternativa a Matteo Renzi esiste. Ed è lui. I berlusconiani l’hanno preso sotto gamba, poi quando si sono aperte le urne e si sono contati i voti hanno dovuto capitolare. E «il giovane Salvini» si è trasformato in un goleador.
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