Delitto Vannini, azione disciplinare contro il magistrato dell’inchiesta: «Non fu diligente»

Delitto Vannini, azione disciplinare contro il magistrato dell inchiesta: «Non fu diligente»
di Emanuele Rossi
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Venerdì 14 Febbraio 2020, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 13:40

Azione disciplinare contro il pm del caso Marco Vannini avanzata dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. È l’ultimo colpo di scena sull’omicidio del 20enne di Cerveteri a una settimana di distanza dalla sentenza della Cassazione che ha stabilito un appello bis. Nessuna dichiarazione pubblica da parte del Guardasigilli che però ora ha nel mirino il sostituto procuratore Alessandra D’Amore, attualmente in forza alla procura generale di Roma dopo essere stata in servizio per oltre 10 anni a Civitavecchia. È il pm D’Amore ad aver svolto le indagini sulla morte di Marco Vannini, ucciso a Ladispoli con un colpo di pistola il 17 maggio 2015 da Antonio Ciontoli, padre della fidanzata e sottoufficiale della Marina militare con un ruolo nei servizi segreti. 

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LE CONTESTAZIONI
Bonafede già lo scorso maggio spedì gli ispettori ministeriali presso la procura civitavecchiese. Qualche mese prima invece contestò platealmente il presidente della Corte d’assise d’appello, Andrea Calabria. Alla lettura della sentenza, il 29 gennaio 2019, Marina Conte, madre della vittima, protestò per la pena ridotta all’ex 007 e come risposta il giudice le intimò di smettere onde evitare di «farsi una passeggiata a Perugia» ed essere denunciata di conseguenza per oltraggio alla Corte. Bonafede definì «inaccettabili» le parole del togato, dichiarando anche di aver attivato i suoi uffici per «tutte le verifiche e gli accertamenti del caso».
 

 

 
Le varie tappe di un giallo che ha sconvolto l’Italia sono costantemente monitorate dal ministro del Movimento Cinquestelle, fino ad arrivare alla presa di posizione di poche ore fa. Alfonso Bonafede in pratica valuterebbe superficiali le indagini sulla morte di Marco Vannini tanto da aver arrecato «un ingiusto danno ai genitori del ragazzo». In questi anni si è sempre discusso ad esempio sul fatto che la villa di Ciontoli non fu mai posta sotto sequestro. Non venne neanche adoperato il luminol dai carabinieri di Civitavecchia e Ladispoli, strumento utile per evidenziare la presenza o meno di tracce ematiche sulla scena del crimine, in questo caso il bagno. Come ribadito più volte da Luciano Garofano, ex generale dei Ris e consulente tecnico della famiglia Vannini, non gli fu concesso di entrare nella villetta di via Alcide De Gasperi per effettuare dei rilievi.
 


Inoltre i carabinieri non sentirono nemmeno tutti i vicini di casa Ciontoli. Interrogativi sempre sollevati dai genitori di Marco Vannini. Il pm sotto i riflettori del ministro avrebbe già chiesto di essere ascoltato da chi di competenza, incontro che potrebbe avvenire in questi giorni. Gli ermellini di fatto lo scorso 7 febbraio hanno comunque dato ragione all’impianto accusatorio formulato da Alessandra D’Amore. Sostituto procuratore che una volta terminate le indagini a marzo del 2016, chiese ed ottenne dal gup di Civitavecchia Massimo Marasca, il rinvio a giudizio per omicidio volontario con dolo eventuale nei confronti dell’intera famiglia Ciontoli: Antonio, la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico. Non solo. Per la D’Amore anche Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli e presente anche lei in quella casa la sera della tragedia, avrebbe meritato un processo per omissione di soccorso. 



RICHIESTE E CONDANNE
Due anni dopo, nella sua requisitoria di fronte ai giudici della Corte d’assise, lo stesso pm chiese una condanna a 21 anni per omicidio volontario con dolo eventuale per Antonio Ciontoli e a 14 per il resto della famiglia, più 2 per Viola Giorgini contestandole il reato di omissione di soccorso. In primo grado quest’ultima venne assolta, il capofamiglia condannato a 14 anni e i familiari a 3. In secondo grado pena ridotta ad Antonio Ciontoli a 5 anni con reato derubricato in omicidio colposo. Pena confermata per moglie e figli sempre per colposo. Fino alla Cassazione che ha deciso di rimandare tutto in appello. Una tormentata vicenda processuale che rischia di inchiodare alle proprie responsabilità una famiglia che poteva tempestivamente allertare i soccorsi per salvare il giovane cerveterano con un sogno nel cassetto: diventare un pilota dell’Aeronautica. 

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