Tria, il “Cerbero” in trincea nella strettoia d’autunno

Tria, il “Cerbero” in trincea nella strettoia d’autunno
di Andrea Bassi e Alberto gentili
5 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Luglio 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 01:01

ROMA In barba al meteo e al calendario, l’autunno sta già arrivando. E per il «Cerbero che deve far di conto», (alias Giovanni Tria, copyright di Giuseppe Conte), arriverà il momento della verità. Luigi Di Maio, nei panni a questo punto di Ercole, vorrebbe se non tagliare, quantomeno piegare, la testa del guardiano dell’inferno contabile al suo principale scopo: introdurre il reddito di cittadinanza, l’assegno di 780 euro al mese per disoccupati, inoccupati e poveri in generale. Il suo alleato di governo, Matteo Salvini, tira la giacca di Tria verso la sua promessa, quella che più sta a cuore alla Lega: la flat tax.

Il professore finito sulla poltrona che fu di Quintino Sella resiste. Sa che se venisse cacciato risulterebbe un martire. Anzi, godendo del sostegno del Quirinale e della stima dei mercati, sa di essere incacciabile. Ma ripete, a mo di sfida: «Se vogliono me ne vado». Potrebbe averlo detto anche ieri pomeriggio durante il faccia e faccia di oltre due ore con Conte, incentrato sullo stallo delle nomine e sul G20 in Argentina.

TEMPOREGGIAMENTO
Nel frattempo il ministro prende tempo, crea task force e tutte le volte che apre bocca pianta un paletto. Una volta sulle «compatibilità finanziarie», un’altra per confermare «la riduzione del debito», un’altra volta ancora per rassicurare sul «rispetto degli impegni europei». I grillini, non è un mistero, lo chiamano «l’Authority indipendente». Lui, dal fortino del ministero dell’Economia, non solo resiste, insiste nel mettere “alla prova” i due soci di maggioranza del governo: non assegna le deleghe ai sottosegretari, non accetta confronti sulle nomine pubbliche e parla solo con il premier. Agli amici che lo frequentano da tempo ripete un solo mantra: «Non passerò alla storia per il ministro che ha sfasciato i conti pubblici».

La Lega e Cinquestelle da qualche giorno hanno cominciato a ragionare su un’exit strategy per liberarsi dell’ingombrante inquilino di via XX settembre. Più facile a dirsi che a farsi. Perché se è molto difficile raggiungere un equilibrio con Tria, ancora più difficile sarebbe trovare un garante della tenuta di bilancio altrettanto autorevole senza rischiare la crisi. Tria, infatti, si è costruito un profilo da baluardo dei conti pubblici. Rimuoverlo, soprattutto prima che abbia scritto la manovra di bilancio, farebbe esplodere la paura sui mercati con scenari da incubo. L’altra possibilità sarebbe quella di lasciargli in mano il pallino della prossima legge di stabilità, per poi in primavera tentare un ricambio. Per ora solo ipotesi. Ma i rapporti, soprattutto con i 5Stelle, sono ai minimi.

I MARGINI
Di Maio, che si è creato un superministero sommando Lavoro a Sviluppo dimenticando però di contrattare margini di bilancio, soffre il ruolo di Tria di guardiano dei conti. Soprattutto dal giorno in cui il sottosegretario grillino all’Economia, Alessio Villarosa, è corso a palazzo Chigi per bloccare la nomina di Alessandro Rivera a direttore generale del Tesoro. Sarebbe stata la promozione dell’uomo che con Pier Carlo Padoan ha gestito tutte le crisi bancarie, da Mps alle venete: uno smacco per i grillini. Ma soprattutto li ha convinti che dietro Tria si muovano i «poteri forti», il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, soprattutto, Mario Draghi.

IL PROBLEMA
Il problema per i gialloverdi e la fortuna di Tria è che Di Maio e Salvini stringono l’assedio a Tria con strategie diverse. Entrambi sanno che cacciare il ministro vorrebbe dire pagare un prezzo salatissimo sui mercati. In più, a palazzo Chigi e dintorni temono che, nella finestra tra metà agosto e metà settembre, la speculazione mostri la sua faccia feroce come è avvenuto in passato. Con due brutti risultati. Il primo: verrebbero erosi i già ridotti margini di manovra del governo, resi ancora più stretti dall’annunciata eclissi autunnale del quantitative easing della Banca centrale europea. Il secondo: vista la delicata situazione contabile, l’esecutivo sarebbe costretto a varare una legge di bilancio senza la “ciccia” più amata dai 5Stelle e dalla Lega: sì alla sterilizzazione dello scatto dell’Iva e ai primi ritocchi della legge Fornero sulle pensioni, ma rinvio per la flat-tax e il reddito di cittadinanza. Il core business grillin-leghista.

Ebbene, di fronte a questo scenario, Salvini appare intenzionato a fare appello al realismo e si attrezzerebbe a benedire una legge di bilancio light. Prendendo ciò che è possibile intascare: lo stop all’aumento dell’Iva e la riformulazione della Fornero, appunto. Senza andare al redde rationem con Tria: il suo siluramento, è il timore del leader leghista, innescherebbe un’escalation sui mercati che poi verrebbe pagata alle elezioni. Dunque, avanti fino a primavera e poi bye bye: tutti al voto dopo le europee o in contemporanea. Nella speranza (naturalmente) di rivincere alle urne e che il Parlamento europeo e di conseguenza a Bruxelles vengano espugnate dal fronte populista. E si aprano maggiori margini di azione sui conti.

Opposta la strategia di Di Maio. Il capo 5Stelle sta cercando di mettere il dicastero dell’Economia sotto controllo. Da qui lo stop a Rivera, la guerra al ragioniere generale dello Stato Daniele Franco. E l’intenzione, proclamata, di «fare pulizia, di cacciare le vipere e avere persone di fiducia nei posti chiave» del Mef. Nella prospettiva, appunto, di dare il ben servito a Tria. Oppure di dichiarargli guerra aperta in occasione della stesura della legge di bilancio. Con l’altissima probabilità però di andare a sbattere, in un frontale fragoroso, con l’Unione europea e i soliti mercati finanziari.

Soprattutto, Di Maio non vuol sentir parlare di elezioni anticipate.

Perché i 5Stelle tornerebbe in Parlamento a ranghi ridotti. E perché, al contrario di Salvini, il leader grillino pensa di avere un’altra opzione: un patto di governo con il Pd, per evitare le urne, questa volta nel ruolo di premier. Uno scenario, c’è da dire, alquanto difficile che però non allarma la Lega. Salvini, quando gliene parlano, sorride. E’ convinto che per il Carroccio restare in tribuna sarebbe una manna. Elettorale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA