Londra, nel telefonino di Youssef tracce della rete italiana

Londra, nel telefonino di Youssef tracce della rete italiana
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Giovedì 8 Giugno 2017, 00:21
Non era stato fermato, è vero. Ma Youssef Zaghba, uno dei tre attentatori della strage di Londra, era costantemente monitorato tutte le volte che arrivava in Italia. E, ora, ricominciano i controlli sul suo ipad e sul cellulare alla ricerca di una rete di contatti internazionale che potrebbe essere utile a rintracciare gli elementi di spicco della rete jihadista che ha più volte colpito a Londra. Pur avendo dovuto rinunciare al sequestro per decisione del tribunale del Riesame, la procura aveva fatto di tutto una copia “forense” quando, il 20 marzo di un anno fa, il ragazzo era stato fermato all’aeroporto di Bologna mentre cercava di imbarcarsi in direzione di Istanbul. Sul cellulare, in particolare, il procuratore Giuseppe Amato ha chiesto di verificare uno per uno tutti i numeri di telefono e i contatti raggiunti. Buona parte di questi, chiariscono già gli investigatori, non sono in Italia: «Nel corso degli ultimi due anni, è stato qui sì e no 30 giorni in tutto», spiegano: «L’ultima volta, a gennaio scorso, era rimasto appena tre giorni, aveva incontrato i parenti e un paio di amici». Nel corso della sua permanenza, tra l’altro, era costantemente monitorato dalla Digos, che l’ha più volte seguito anche a casa.

NUOVO FASCICOLO
Una rete internazionale dunque, che potrebbe avere un ruolo anche nei trasferimenti di denaro verso l’Italia arrivati da pachistani residenti a Londra sui quali si indaga Oltremanica. All’accusa per terrorismo nei confronti di Youssef, nelle scorse ore la procura di Bologna ha deciso di aggiungere una nuova imputazione contro ignoti (in concorso con Zaghba) per attentato terroristico. Sarà dunque la magistratura felsinea e non Roma a coordinare il fronte italiano di un’inchiesta che, come nelle ormai sempre più frequenti occasioni, è diventata internazionale. Intanto prosegue la polemica sul difetto di motivazione nel decreto di sequestro che un anno fa convinse il tribunale del Riesame, su richiesta dell’avvocato Silvia Moisè, a restituire passaporto e cellulare a Youssef, permettendogli di tornare a Londra. La procura ha fatto sapere che un mese prima dei fatti, l’aggiunto Valter Giovannini aveva fatto una circolare chiedendo che gli fosse consegnata una relazione per tutti i video o le immagini relative a “estremismo islamico” trovati anche durante semplici controlli. È vero però che nel decreto di convalida del materiale sequestrato a Zaghba si diceva semplicemente che “visto l’articolo 270 bis e considerati sussistenti i presupposti di legge” si poteva procedere: «Quando l’ho letto – spiega l’avvocato Moisè – ho capito subito che potevamo ottenere il dissequestro, anche in passato il Riesame aveva annullato provvedimenti così generici», per di più Zaghba era accusato di “terrorismo” e non di “arruolamento con finalità di terrorismo internazionale”.

LA SORELLA
La madre e la sorella del ragazzo, intanto, non si danno pace. «Youssef era sensibile e molto ingenuo, fino a qualche anno fa viveva sotto il costante controllo della nostra famiglia, del mondo sapeva davvero poco», dice Kaouthar, la sorella maggiore. Lei ha deciso di spostarsi a Bologna appena maggiorenne: «Volevo allontanarmi soprattutto da mio padre, un uomo molto severo e in alcuni casi violento che aveva una brutta influenza su mio fratello, anche se non ha mai parlato di jihadismo. Non ce la facevo più a vivere in quel clima e in quel modo di pensare e ho abbandonato anche la religione islamica, chiudendo i rapporti soprattutto con loro due», spiega. L’ultima volta aveva sentito Youssef per messaggio dieci giorni prima della strage: «Sono state poche battute, gli ho chiesto se era vero che si fosse comprato una macchina, abbiamo un po’ scherzato». I rapporti tra i due si erano fatti freddi da tempo: «Quando ho lasciato la mia famiglia ho chiuso con tutti e anche con lui, che quando sono partita era poco più di un bambino. In realtà ci sentivamo poco». Non è un’accusa all’Islam: «Mia madre mi ha insegnato che è una religione di pace, credo che Youssef si sia fatto influenzare dalle persone sbagliate, quando è andato a Londra è entrato in un giro sbagliato. Non posso credere che sia stato lui a fare quel terribile attentato». I prossimi saranno giorni difficili: «Non mi sento di andare a Londra a prendere le sue cose, non avrei la forza. Non credo che andrò neppure al funerale, non ce la faccio».
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