Libia, il governo di Tripoli avverte l’Occidente: non accetteremo mai truppe straniere

Libia, il governo di Tripoli avverte l’Occidente: non accetteremo mai truppe straniere
di Cristiano Tinazzi
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Lunedì 7 Marzo 2016, 00:09
TRIPOLI - «Non accetteremo mai alcun intervento militare in Libia sotto qualsiasi pretesto esso venga dichiarato», tuona il ministro degli Esteri dell'autoproclamato governo di Salvezza nazionale di Tripoli, Aly Abu Zakouk, durante un'intervista in televisione. «Siamo in grado di buttare fuori questi terroristi dal nostro territorio e se le potenze internazionali vogliono darci una mano devono prima coordinarsi con noi. Non accetteremo che soldati stranieri mettano piede sul suolo libico». Poi il ministro fa anche riferimento al nostro Paese e a sue dichiarazioni uscite sulla stampa italiana che riguarderebbero una esplicita richiesta di aiuto all'Italia nel contesto di una missione militare internazionale.
 
Dichiarazioni che smentisce, ma non è chiaro se le sue parole siano state male interpretate o se invece abbia corretto il tiro, spinto da pressioni interne. È lampante però che il governo di Tripoli non abbia nessuna intenzione di sottostare a diktat della comunità internazionale e alle indicazioni di Martin Kobler, l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, e che non accetterà di buon grado la presenza di forze speciali e intelligence se non avendola prima concordata. Tradotto significa che Tripoli vuole essere riconosciuta ufficialmente come controparte, così come è stato fatto per il parlamento di Tobruk, unico rappresentante ufficiale del Paese a livello internazionale. Più volte infatti gli esponenti del General National Congress (il parlamento) si erano lamentati per non essere stati considerati validi interlocutori sia da Kobler che dal suo predecessore, il diplomatico Bernardino Leon. Ma la spinta esterna si sta facendo sentire sui diversi signori della guerra in Tripolitania e sulle sue numerose città stato: il caso di Sabrata è uno di questi.

Nonostante le operazioni militari contro lo Stato Islamico e i suoi alleati (gruppi criminali e alcune famiglie locali) siano state coordinate da una sorta di centro di comando e controllo condiviso con le milizie di Tripoli e quelle Misuratine, Sabrata si sta da tempo muovendo anche in maniera autonoma, almeno a livello politico. Non a caso nei mesi scorsi ci sono stati più contatti con elementi del governo designato di Fayez al Serraj e alcuni rappresentanti della cittadina si sono anche recati a Tunisi per discutere non solo con il premier del governo sponsorizzato dall'Onu ma anche con il generale Paolo Serra, consigliere militare di Martin Kobler sulla questione libica e probabile futuro comandante della missione internazionale nel Paese.

IL TESSITORE
Infatti il generale Serra è dal 15 novembre l'uomo che ha intavolato decine di colloqui e incontri con le varie anime del conflitto libico al fine di trovare una soluzione alla divisione del Paese e garantire la sicurezza del trasferimento del governo Serraj nella capitale. «I nostri vertici militari si sono incontrati in precedenza con il generale proprio per un colloquio legato al governo di unità nazionale, alla sicurezza degli impianti Eni di Mellitah e alla presenza di Isis nella zona», conferma Adel Ben Gwer, uno dei rappresentati del Consiglio militare di Sabrata.

Ma la diplomazia continua a fare il suo corso in quello che pare essere un vano tentativo di chiudere la partita libica senza utilizzare l'opzione militare: inizierà infatti giovedì a Tunisi un nuovo tentativo dell'Onu di far approvare dalle fazioni libiche più concilianti il governo di unità nazionale attraverso una procedura extraparlamentare basata sul “dialogo”, lo stesso che portò all'accordo politico di Skhirat del 17 dicembre scorso. È quanto emerge da dichiarazioni rese da Ashraf Al Shoh, un ex-consigliere politico della delegazione del Congresso generale nazionale ai negoziati che si svolsero in Marocco. Un altro giro di ruota da parte di chi crede ancora nella pace e nella forza di un dialogo che vuole portare alla soluzione definitiva di una crisi senza fine nel quale il Paese è stato inghiottito da ormai quasi due anni.
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