Libia, cinque chiamate alle famiglie dal mediatore che parla italiano

Libia, cinque chiamate alle famiglie dal mediatore che parla italiano
di Sara Menafra
3 Minuti di Lettura
Giovedì 10 Marzo 2016, 00:33
E’ un gruppo di rapitori diverso da tutti quelli ai quali la storia dei conflitti in medioriente degli ultimi dieci anni ci ha abituato, quello di cui parla la moglie di Salvatore Failla in conferenza stampa. Un gruppo con un mediatore capace di parlare in italiano e che prova a prendere contatti direttamente con le famiglie dei dipendenti della Bonatti rapiti in Libia il 19 luglio scorso, tanto da cercare il contatto diretto per ben cinque volte, per stare alla sola testimonianza della famiglia Failla. 

I RAPPORTI CON CHOUCHANE
Un gruppo, soprattutto, composto da miliziani islamici ma non dell’Isis (lo dimostra il modo in cui hanno gestito il sequestro, la mancanza di vessilli, il fatto che non pregassero in casa) ma con rapporti logistici e di scambio di informazioni con Noureddine Chouchane, uno dei leader dell’Isis in Libia, considerato l’ideatore della strage del museo del Bardo a Tunisi e morto nel corso dei raid americani su Sabrata dello scorso 16 febbraio. Forse per il comune radicamento nella città da centomila abitanti considerata centrale per il conflitto in Libia. A dimostrarlo non sarebbe solo la coincidenza del ritrovamento di documenti di Chouchane non lontano dal luogo dove sono stati sequestrati gli italiani, ma diverse fonti libiche appartenenti a fazioni diverse (per non parlare dell’insistenza delle autorità locali sul punto). 
 
GLI SPARI SUI CORPI
Un altro elemento - che però trova conferme alterne - che fa ipotizzare agli analisti che i rapitori avessero rapporti con l’ideatore della strage del Bardo pur comportandosi più da criminali comuni che da fondamentalisti islamici è la dinamica dell’aggressione al convoglio su cui viaggiavano Salvatore Failla e Fausto Piano al momento della sparatoria che è costata la vita anche a loro. Ieri parlando alle camere, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha riferito che il convoglio era composto in tutto da tre suv Toyota e che in seguito all’aggressione da parte di un gruppo paramilitare - probabilmente Febbraio Al Ajilat 2 - sono morti. Fonti libiche che potrebbero essere confermate dalle analisi sui corpi fatte a Tripoli alla presenza di un medico militare dell’aeronautica italiana danno un altro particolare: secondo alcune fonti, una volta avvenuta la sparatoria, i corpi delle vittime sarebbero stati tutti tirati fuori dai tre suv e ”giustiziati” con un secondo colpo alla nuca, come per assicurarsi che fossero effettivamente deceduti. Se così fosse, ragionano investigatori ed intelligence, sembrerebbe confermato che il convoglio per lo meno «sembrava» fatto da fondamentalisti islamici. 

LE CHIAMATE
A dire invece di un gruppo che sembra avere interessi soprattutto economici, anche se pare che agli italiani avesse chiesto anche visibilità politica, è l’insistenza nel cercare di ottenere un contatto diretto con le famiglie. Nel corso del tempo, i rapitori hanno provato ben cinque volte a chiamare la famiglia Failla e probabilmente hanno fatto lo stesso anche con gli altri dipendenti della Bonatti. La prima volta, il 13 ottobre, la signora ha sollevato la cornetta e ha sentito la voce del marito che chiedeva aiuto: «Sono rimasto da solo, prima stavo bene ma ora ho bisogno di medicine. Muovi tutto quello che puoi, i media, i tg: ho bisogno di aiuto, la Bonatti non fa più niente», è il contenuto della registrazione che la famiglia, accompagnata dall’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi ha fatto ascoltare ieri. Dopo quel contatto, i sequestratori hanno richiamato più volte, cinque in tutto, ma senza mai ottenere risposta, visto che la moglie aveva avuto indicazione di non prendere le chiamate ma avvertire l’intelligence. Con un certo cinismo, l’ultimo contatto è stato tentato più o meno nel periodo delle festività natalizie. La signora Failla ha alzato la cornetta, ma dall’altra parte qualcuno ha interrotto la comunicazione. Qualcosa di più dovrebbe chiarirsi con i nuovi esami che tenterà di fare la procura di Roma già oggi, anche se l’autopsia fatta a Tripoli è per buona parte irripetibile. Uno schiaffo al nostro paese che potrebbe avere pesanti conseguenze anche sull’attuale composizione del governo Renzi. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA