RARITÀ
Più il libro è raro, più sale il prezzo; ma i clienti non mancano mai. Il protagonista di Manaraga, Géza, ha 33 anni ed è nato a Budapest: «I miei genitori erano profughi: mio padre era scappato dai fondamentalisti ortodossi, mia madre da quelli islamici». Poiché ogni chef ha una sua specialità, a Géza è toccato il grande romanzo russo; così prepara šašlyk di storione con L’idiota, «romanzo completo, peso super medio, 720 grammi, 509 pagine, carta vellum, rilegatura in tela percallina. Bastato per otto spiedini». Con Dostoevskij, Platonov e Zoščenko ha abbastanza combustibile per una grigliata a base di bistecca di manzo Kobe, seppioline e filetto di rana pescatrice. Il cinismo (e l’ateismo) impera; ma alla lettura di Tolstoj spuntano domande esistenziali - «di quanto amore ha bisogno un uomo?» - così come in Transilvania si rischia la carneficina mentre si arrostiscono ostriche gratinate con Le anime morte e A sangue freddo.
Ogni cuoco ha una striscia metallica per girare le pagine, chiamata excalibur; quella di Géza è in titanio, con manico d’osso. Qualsiasi confraternita ha le sue sette eretiche, così spunta un gruppo che vuole riprodurre migliaia di copie “molecolari” (e cioè identiche) di libri rari, che verranno bruciati allo stesso prezzo. La guerra tra cosche è inevitabile. Sullo sfondo di una montagna maledetta.
Anche Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, che racconta un mondo del futuro in cui i libri vengono bruciati (alla temperatura del titolo), diventa oggetto di menu da veri gourmet; così come il Don Chisciotte, in cui (nel sesto capitolo) viene organizzato un rogo dei poemi cavallereschi che avevano fatto uscire di senno il Cavaliere dalla Triste Figura.
Il rogo dei libri è parte (proprio) delle pagine più tristi della Storia di ogni tempo, da quando l’Inquisizione ha cominciato a bruciare gli scritti accusati di eresia - compresi i manoscritti Maya e Aztechi distrutti da Diego de Landa. Dove si brucia un volume, si cela un despota, si colpisce il patrimonio dell’umanità intera; così non c’è differenza tra i libri “marxisti” dati al rogo da Pinochet, dai militari argentini o quelli “sgraditi” messi sulla pira da Aldolf Hitler. Celebre è la serie di incendi che distrussero la Biblioteca di Alessandria, tra il 48 a.C. e il 642 d.C.: era la più ricca del mondo antico. Non sembra cambiato nulla da allora, leggendo i resoconti delle distruzioni di preziosi volumi da parte dell’Isis. Ma anche l’Italia non è esente da colpe; l’ultimo episodio di rogo per disposizione legale si verificò nel 1961, nel cortile della Procura di Varese: erano le opere del marchese de Sade pubblicate da Luigi Veronelli.
IL VOLTO DEL NEMICO
Inevitabile che la letteratura, vero bersaglio dei roghi, cerchi di raccontare il volto del suo nemico. Jorge Luis Borges ricorda - in una raccolta dal titolo emblematico, Altre inquisizioni - che quel primo imperatore cinese che decise di edificare la Grande Muraglia fu anche lo stesso a disporre di dare alle fiamme «tutti i libri scritti prima di lui». Ciò che fa riflettere è la potenza della parola (e della carta), temuta dai dittatori più di ogni altra cosa. Bisogna preservare, da una parte, l’integrità territoriale dell’Impero, e, dall’altra, cancellarne la memoria storica. Anche Elias Canetti, in Auto da fé (1935), ricorda l’episodio cinese, ancora avvolto nella leggenda; ma il suo personaggio, il sinologo di fama mondiale Peter Kien, finisce per trovare la morte nel rogo della sua biblioteca. I nazisti avevano già cominciato la loro opera di sistematica distruzione.
Pepe Carvalho, il personaggio creato da Manuel Vázquez Montalbán, ha l’abitudine di bruciare i libri che ha già letto, perché non li riconosce più come mezzi adatti per conoscere il mondo; con Joseph Conrad sembra avere un ripensamento, ma poi lo getta lo stesso nelle fuoco.
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