L’anno nero dei talk show:
più cronaca, meno politica

L’anno nero dei talk show: più cronaca, meno politica
di Claudio Marincola
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Mercoledì 15 Aprile 2015, 22:53 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 00:32
C’era una volta il talk show che orientava gli umori, scatenava i malumori e si rifletteva nelle urne il giorno del voto. C’era. E a dispetto delle tante Cassandre c’è ancora. Anzi si è moltiplicato spalmandosi sul piccolo oblò 7 giorni su 7: un diluvio di parole che costa meno, molto meno di uno show. Senonché da qualche tempo si va avanti stancamente. Gli ascolti languono, le imitazioni si sprecano, nel migliore dei casi si galleggia.

I dati dicono che il rapporto si è frammentato. Va benino un po’ a sorpresa Quinta Colonna di Paolo Del Debbio che ogni lunedì su Rete4 in prima serata mette insieme 1 milione mezzo di spettatori con uno share del 6.50% e una media stagionale del 5.25%. E avanza su Rai2 Virus di Nicola Porro che deve vedersela contro Santoro e aumenta gli ascolti rispetto allo scorso anno facendo breccia nel pubblico giovanile, pur avendo dovuto scontare a gennaio diversi slittamenti in seconda serata causa partite di calcio. Ma se in generale confrontiamo l’audience di oggi già due anni fa la stanchezza è prevalente. Il politico che mette in scena se stesso non funziona più?

Giancarlo Leone, direttore di Ra1 spiega: «La crisi della politica e della formula in effetti coincidono è vero. Va detto però che i talk si sono triplicati, la concorrenza è aumentata e la torta è rimasta la stessa. Rispetto a quello che sta succedendo altrove - prosegue Leone - Rai1 va in controtendenza. L’ascolto medio da settembre a oggi di Porta a Porta, che per noi è l’eccellenza, si è stabilizzato intorno al 13,5% crescendo di mezzo punto rispetto a un anno fa. Vespa ha saputo cambiare format e impaginazione. Porta a Porta è un rotocalco che parla di politica ma e di altri argomenti di cronaca e costume». Il talk che cambia pelle è la direzione in cui sembra proiettato anche Luca Telese, conduttore di Matrix su Canale 5. Fuga dalla politica verso il noir? L’omicidio di Yara o la strage dell’Airbus per non precipitare.



Allo sfratto esecutivo resistono solo le «facce che bucano lo schermo». Sempre meno: Renzi, Berlusconi, Salvini, Santanché, Meloni, Moretti, Cacciari, Cantone, Scanzi, la new entry Silvia Sardone e pochi altri. Un assist all’audience (più che alla par condicio) per evitare scivolamenti negli ascolti. «Vespa tiene? Non mi sembra un esempio calzante - obietta però Angelo Guglielmi, ex storico direttore di Rai3 - ha un pubblico affezionato e ha acquistato una sua ufficialità. Non è un caso se il ministro Lupi decide di andare lì prima ancora che al Consiglio dei ministri».

Per Guglielmi la crisi è evidente. «Sono tutti uguali, vedi Ballarò e ti sembra di vedere DiMartedì. Un chiacchierificio disordinato che aumenterà il tasso di disaffezione e insoddisfazione dalla politica». Santoro sembra provato, si sta annoiando e si vede. «Eppure Servizio pubblico è l’unico che continua a interessarmi anche se ha perduto l’ascolto - riprende Guglielmi - è tornato all’inchiesta fatta secondo i canoni e il linguaggio giusto: mette in scena un tema principale e va fino in fondo».



IL SORPASSO

Il futuro dei talk show secondo Guglielmi? «Lo vedo nerissimo, se non cambiano. Ballarò e DiMartedì sono la stessa cosa. Speravo che Massimo Giannini ne approfittasse per reimpostarsi in modo diverso, desse una sua impronta. È un bravissimo giornalista ma la tv ha pubblico diverso dai giornali mentre Floris è nato in Rai». Il primo sommato al secondo fanno lo share del Ballarò di un anno fa, anche se il trend di Floris nelle ultime puntate è in salita con il record personale del 6,12%. Negli ascolti di rete Rai 2 è tornata intanto sopra Rai3; in prima serata Canale 5 sfiora il 18% e insidia Rai1 e nelle 24 ore i canali Sky sfiorano il 5%, La7 è al 3,6%. I talk show fanno storia a sé. Santoro, Giannini, Floris, Formigli, Telese, Del Debbio, Porro, Paragone... Colpiti dall’anatema di Beppe Grillo che assimila al Palazzo e li evita come la peste?

«Per me sono e restano un genere nobile - si erge a difesa del genere talk Andrea Vianello, direttore di Rai3 - e credo che continueranno a esserci ancora a lungo. Più che di stanchezza parlerei di moltiplicazione». L’inflazione del format ha creato assuefazione. Ma se per La7 il pareggio tra Floris (5,22% di share medio negli ultimi tre mesi) e Giannini può considerarsi un successo la stessa cosa non può dirsi per Ballarò che ai bei tempi faceva da solo il 12% di share. Vianello non è d’accordo: «Diciamo che La7 ho vinto questa partita del martedì una volta e noi 27 - è la sua tesi - non era scontato.



Loro hanno preso Floris, un grande professionista, perché volevano vincere. E in aggiunta hanno preso anche Crozza, un campione. Con questi due additivi formidabili l’operazione editoriale di Cairo era pensata per batterci. Ma non è andata così. La forza del brand e del programma hanno fatto sì che Ballarò restasse il salotto più autorevole in cui si parla di politica ed economia».

Per la fascia estiva è pronto a scendere in campo l’ex direttore de Il Sole24 ore Gianni Riotta.

Le grandi manovre sono cominciate. «Ci siederemo intorno a un tavolo con Giannini e con gli autori e ci ragioneremo sopra - conclude Vianello - i cambiamenti se ci saranno non lo snatureranno. Ballarò resterà sempre Ballarò».

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