Italiane le più brave creatrici di software

Italiane le più brave creatrici di software
di Andrea Andrei
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Lunedì 30 Gennaio 2017, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 09:43
La rivoluzione sessuale, per una volta, potrebbe partire dall’Italia. Perché mentre i movimenti femminili acquistano maggiore forza (basti vedere la “Women’s March” dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca), c’è un settore che si conosce poco anche se è sempre più essenziale e in cui la disparità fra uomini e donne è enorme. Parliamo di programmazione informatica o, per chi preferisce la versione inglese del termine, di “coding”. Eppure, anche se sono poche, la buona notizia è che dal nostro Paese ci sono fra le migliori programmatrici del mondo. Non solo, perché l’Italia è uno dei Paesi che può vantare una minore differenza di genere e quindi una maggiore percentuale di donne che hanno dimestichezza con i linguaggi informatici.
A dirlo è una ricerca di HackerRank, società californiana che raccoglie una comunità di oltre un milione di programmatori, ovvero di coloro che parlano la lingua dei computer, che creano software e siti web, che sanno assegnare compiti a un robot o dar vita e gestire un’app per il cellulare. Un vero e proprio linguaggio, che in un futuro assai prossimo (in realtà già presente) potrebbe diventare materia di studio a scuola, proprio perché essenziale in una società in cui l’informatica è parte integrante di ogni aspetto della vita, dal lavoro all’intrattenimento passando per le relazioni sociali.

I DATI
Quella di HackerRank è dunque una comunità vasta e rappresentativa di questo fenomeno, e stando ai dati, la larga maggioranza dei suoi appartenenti è di sesso maschile: l’82,9 per cento, contro una restante quota rosa del 17,1%. Ma se si analizzano le proporzioni nei singoli Paesi, le sorprese non mancano. In cima alla classifica, con una percentuale di programmatrici del 23%, c’è l’India, notoriamente non un Paese all’avanguardia per quanto riguarda i diritti delle donne. Eppure, secondo gli esperti, l’educazione e gli studi in India sono molto orientati alla parità di genere. Gli Stati Uniti invece, che sono il secondo Paese del mondo per numero di programmatori, nella “lista rosa” si collocano solo all’undicesimo posto, sotto il livello dell’Indonesia, con una percentuale inferiore al 15%. Ancora peggio il Regno Unito, sceso addirittura in 23esima posizione. Ma quello che può suonare davvero clamoroso è che in fondo alla classifica, in penultima posizione prima del Cile, c’è la Danimarca (solo il 3,3% di donne programatrici), e la Svezia non è messa molto meglio (è al 44esimo posto con il 5,7%).
Insomma l’Italia può essere orgogliosa, visto che si colloca a un rispettabilissimo sesto posto, con il 16,7%. E può esserlo soprattutto perché più che la quantità conta la qualità, e nel nostro Paese di qualità ce n’è tanta: in base ai punteggi assegnati da HackerRank, che ha posto alla propria comunità di programmatori una serie di problemi da risolvere, le italiane eccellono, piazzandosi addirittura in seconda posizione mondiale, subito alle spalle delle russe.

LO SCENARIO
Neanche abbiamo fatto in tempo a dirlo però, che già bisogna fermare i festeggiamenti. Perché a dirla tutta c’è anche un altro lato della medaglia, che rischia anzi di diventare il più importante. Negli ultimi anni infatti, nel rapporto fra donne e tecnologia, la situazione è andata peggiorando. Nel 1990 l’industria dell’hi-tech era composta da circa il 36% di donne. Oggi quella percentuale si è quasi dimezzata, scendendo al 25%. Si assiste così a quello che potrebbe sembrare un paradosso, e cioè che a uno sviluppo del settore corrisponde una diminuzione delle quote del gentil sesso.

Una delle ragioni può essere ricercata nel costo del lavoro, che è via via aumentato e che ha progressivamente tagliato fuori le donne. Le quali guadagnano, in media, il 40% in meno dei loro colleghi maschi di pari livello. Questa chiave di lettura getta una luce diversa anche sui dati dei Paesi con maggiore impiego femminile nel settore del coding, la cui lista annovera, oltre l’India, anche gli Emirati Arabi Uniti, la Romania, la Cina e lo Sri Lanka. Paesi verso i quali ultimamente puntano gli investimenti delle grandi aziende hi-tech. Se si pensa che i programmatori nell’informatica vengono spesso considerati alla stregua degli operai nelle imprese edili, si comprende che quello che può sembrare un traguardo importante nella parità di genere potrebbe invece essere il segnale, preoccupante, di una tendenza a svalutare ulteriormente il lavoro femminile, relegandolo a un ruolo marginale nella “catena produttiva” tecnologica.
Nel nostro Paese esiste da qualche anno una startup, Codemotion, che ha fatto della cultura e della diffusione del coding il suo principale cavallo di battaglia, organizzando corsi e laboratori di programmazione, di robotica e di creatività digitale, anche indirizzati ai bambini. La società è stata fondata da due ragazze, Mara Marzocchi e Chiara Russo. È proprio quest’ultima a spiegare quanto sia «fondamentale che le donne si avvicinino ai mestieri legati alla tecnologia. Si stima che nel 2020 ci saranno, solo in Italia, circa 176 mila posti di lavoro scoperti in questo settore. Possibilità che, di questo passo, saranno precluse alle donne». 

ACCURATEZZA
Un mestiere che invece, se si analizza senza pregiudizi, sembra fatto apposta per il gentil sesso, dotato com’è risaputo di eccellenti doti mnemoniche, di un’accuratezza maggiore e di metodicità, essenziale per questo tipo di attività. D’altronde sono parecchi i precedenti che lo dimostrano. La prima programmatrice della storia è stata una donna: la matematica britannica Ada Lovelace, figlia del poeta George Byron, che creò sulla macchina analitica di Babbage il primo algoritmo inteso per essere elaborato da una macchina. La bellissima attrice Hedy Lamarr, che nel 1933 fu una delle prime a interpretare una scena di nudo al cinema, era appassionata di tecnologia e gettò le basi per i sistemi wireless. Dal profano al sacro: Suor Mary Kenneth Keller è stata una delle prime donne a conseguire un dottorato in informatica negli Usa nel 1965, e poi fondò il Computer Science Department in Iowa. Provate a dire che l’informatica non è roba da donne.
 
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