Ilva, ora Conte pensa a un decreto e rilancia la vecchia cordata. Renzi punta su Acciaitalia

Ilva, ora Conte pensa a un decreto e rilancia la vecchia cordata. Renzi punta su Acciaitalia
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Martedì 5 Novembre 2019, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 13:12

Il presidente del Consiglio Conte è pronto ritira fuori scudo penale nuovo di zecca pronto a valere da subito e non solo per gli amministratori dell'Ilva impegnati nell'ambientalizzazione dello stabilimento. Il presidente del Consiglio darà questa disponibilità domani pomeriggio nel corso dell'incontro che avrà con i vertici di ArcelorMittal. Una mossa che però ha un obiettivo più comunicativo che di sostanza, visto il tono della lettera con la quale la multinazionale ha annunciato di voler lasciare entro trenta giorni l'ex Ilva. L'obiettivo è quello di capire le reali intenzioni del gruppo franco-indiano che di fatto lamenta un tale incertezza politica e giuridica, da spingerla all'addio degli stabilimenti tarantini.

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LA GUERRA
Il sospetto, che il ministro Patuanelli esplicita, è che la mancanza dello scudo penale venga accampato dall'azienda per ottenere tagli produttivi o occupazionali, ma che il vero obiettivo sia mollare l'ex Ilva. 
La decisione della multinazionale arriva a palazzo Chigi e si sovrappone alla tensione esistente nella maggioranza sulla manovra di bilancio. Il gabinetto di guerra, che in pochi minuti si sposta dal Mise a palazzo Chigi, vede intorno ad un tavolo il presidente del Consiglio, i ministri Patuanelli, Speranza e Provenzano. Il cambio di amministratore delegato, deciso dalla multinazionale poche settimane fa aveva acceso un campanello di allarme, ma la lettera di ArcelorMittal è durissima non solo nella parte dove lamenta la mancanza dello scudo penale promesso da Di Maio quando era ministro dello Sviluppo economico, ma anche quando evoca i provvedimenti del tribunale penale di Taranto che obbligano i commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre di quest'anno. Incertezze politiche e giuridiche evidenti, visto che il governo Renzi mette lo scudo penale, l'esecutivo Di Maio-Salvini lo leva con il decreto crescita e l'attuale prima lo mette nel decreto-imprese, ma poi è costretto a soprassedere per l'opposizione di un gruppetto di senatori grillini guidati dall'ex ministra Barbara Lezzi. Un togli e metti che disorienta anche se Conte sostiene di aver sempre dato rassicurazioni alla multinazionale franco-indiana e di volerne dare anche oggi. 

Resta il fatto che ieri, nel corso del summit a palazzo Chigi, si è anche ripresa l'idea di rimettere insieme la vecchia cordata che a suo tempo contese lo stabilimento di Taranto ad ArcelorMittal: Arvedi, Jindal, Delfin e Cassa Depositi e prestiti. Una telefonata ieri pomeriggio è partita in direzione di Giovanni Gorno, presidente di Cdp, ma il governo non brilla per chiarezza mentre Italia Viva chiede a Conte, come le opposizioni, di presentarsi in aula. Senza scudo penale per gli amministratori, con un mercato in crisi e i dazi americani, ci possono essere buone ragioni per sfilarsi, ma ciò che sconcerta è gli investitori sono le retromarce grilline, le ritorsioni degli ex ministri pentastellati e un Pd che di recente, al Senato, si è schiacciato sulla linea grillina senza neppure pretendere un provvedimento ad hoc.
 



L'AREA
Eppure che ArcelorMittal stesse cambiando passo l'avevano intuito il sindacalista della Cisl Marco Bentivogli e Matteo Renzi da sempre scettico sulla volontà di ArcelorMittal di investire a Taranto. Ora Conte tenta di accelerare i tempi anche a costo di mettere alla porta già oggi la multinazionale che, secondo un ministro, potrebbe chiedere per restare «un fortissimo taglio occupazionale e la chiusura dell'area a caldo». A tutti gli effetti un disastro per l'alleanza giallorossa già alle prese con una manovra di bilancio ancora da definire e da approvare in Parlamento.
Il vero problema è che non si comprendono le intenzioni del M5S. Ieri, mentre il Pd si è ammutolito, dal fronte grillino sono risuonate molto battagliere le dichiarazioni dell'ex ministra Lezzi che continua a minacciare battaglia in difesa di un quartiere di Taranto, ma nulla dice sui diecimila lavoratori dell'ex Ilva che da ieri dormono sonni molto meno tranquilli.

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