Ilva, verso l’accordo sotto i 700 esuberi. Arcelor: più garanzie

Ilva, verso l’accordo sotto i 700 esuberi. Arcelor: più garanzie
di Roberta Amoruso
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Domenica 12 Agosto 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 18:45
ROMA Non sarà l’Avvocatura dello Stato a fermare la vendita dell’Ilva ad ArceloMittal. Proprio così, non è soltanto da un parere sulla gara che dipende il futuro del gruppo siderurgico. Luigi Di Maio è pronto a giocare la carta dell’«interesse generale» anche qualora l’Avvocatura dovesse confermare delle sbavature nell’iter di gara.

La condizione, però, è che la cordata AmInvestco, guidata da ArcelorMittal faccia tutto quello che deve per blindare i lavoratori dell’Ilva. Fino all’ultimo dei 13.500, si intende, dicono dalle parti di Palazzo Chigi. Non è un caso, quindi, se i tecnici del Mise sono al lavoro anche in questi giorni a ridosso di Ferragosto per trovare una quadratura del cerchio sull’occupazione. Anche venerdì ci sono stati contatti tra i commissari e gli uomini di ArcelorMittal ed è stata inoltrata puntuale nota al Mise con più garanzie sul tavolo da parte della multinazionale. Insomma, tutti gli scenari sono ancora aperti, ma al di là delle dichiarazioni ufficiali dettate dalla delicatezza della trattativa, siamo a un passo dall’accordo anche sugli esuberi. E tutto si giocherà nei prossimi dieci giorni.

Già, i tempi sono strettissimi. È atteso questa settimana dal Mise il parere dell’Avvocatura dello Stato sui rilievi fatti dall’Anac. Ma intanto non si fermeranno, anche dopo l’Avvocatura, i contatti sotto traccia tra Mise ArcelorMittale e sindacali per azzerare gli esuberi. Sarà poi un vertice ufficiale Mise-sindacati-ArcelorMittal, dopo il 20 agosto, a decidere se il compromesso può essere trovato. Ma in ogni caso, tutto dovrà essere blindato, o quasi, entro il 24 agosto, data ultima consentita al Mise per decidere l’annullamento della gara. Insomma, se c’è l’accordo difficilmente Di Maio strapperà la gara. Gara «pasticcio» o no, pur di salvare 13.500 lavoratori e dare un futuro all’Ilva blindato anche dal punto di vista ambientale, Di Maio potrebbe invocare lo spirito dell’«interesse generale» ben illustrato nella Legge 241 del ‘90, già richiamato a ben vedere dall’Anac nella sua lettera al Mise e che con ogni probabilità sarà richiamato anche dall’Avvocatura dello Stato, qualunque siano i suoi rilievi in proposito. Anche perchè l’Addendum al contratto presentato dalla multinazionale in materia ambientale ha già chiuso la questione su questo fronte.

I NODI SUL TAVOLO PER IL 2023
A dire che l’accordo sul lavoro è vicino non è soltanto il clima che si respira nella trattativa, tra l’ottimismo di ArcelorMittal e il pressing dei sindacati. Sono i numeri a parlare. Di fatto, si sta ragionando su come blindare anche quei 700 lavoratori non ancora garantiti sui 3.500 esuberi di partenza. I sindacati puntano a un numero maggiore di assunti da AmInvestco a inizio piano (10.700 contro 1.100-1.200 proposti da ArcelorMittal), ma puntano anche a strappare un impegno maggiore sulle assunzioni a fine percorso, nel 2023 (almeno 500 contro le 300 proposte da ArcelorMittal). Di qui il gap dei 700-800 lavoratori ancora da garantire. In questo modo i sindacati metterebbero al sicuro 11.200 lavoratori, gli stessi oggi in forze a Taranto (che salgono a circa 11.500 considerati anche il lavoratori di Cornigliano). E i 2.000 rimasti? Per gli stessi sindacati si tratta di un numero compatibile con quello dei lavoratori che potrebbero rimanere a carico dell’amministrazione straordinaria per poi utilizzare gli incentivi all’esodo. Senza contare, tra l’altro, le esigenze legate all’aumento della produzione prevista fino a 8 milioni di tonnellate di acciaio grezzo nel 2013 (il doppio di oggi).

C’è però un altro nodo della trattativa. ArcelorMittal insiste per mantenere il costo del lavoro. E se i lavoratori da assumere a fine del piano risultassero invece superiori a quelli previsti dall’accordo, anche per via di un diverso utilizzo degli incentivi?, si chiede ArcelorMittal. Ci vuole una clausola di salvaguardia, dice la multinazionale, per mantenere il costo invariato utilizzando non ben precisati «strumenti», magari ammortizzatori sociali. Anche su questo fronte, però i sindacati chiedono garanzie.

IL “PIANO B” CON JINDAL
E se invece le condizioni di ArcelorMittal non dovessero migliorare secondo le richieste Di Maio? Lo scenario è improbabile a sentire il clima della trattativa. Ma se l’accordo non ci sarà e Di Maio potrà decidere di annullare la gara, allora sì che scatterebbe il “piano B”. Per ora per il ministro il “piano B” è solo una bandiera per sollecitare la multinazionale a chiudere il dossier, considerati i tempi stretti dettati dalla liquidità in cassa che finirà a settembre. Ma il piano c’è e, per quanto la strada sia tortuosa, punta riaprire la gara. E dunque anche ad aprire la porta all’asse Jindal-Cdp, un pezzo della cordata AcciaItalia tagliata fuori un anno fa. Questo vorrebbe dire esporre il gruppo all’attesa di almeno un altro anno, far scattare l’intervento dello Stato e prendersi carico di una causa per inadempienza contrattuale da ArcelorMittal. Si vedrà. Ma non è qui che vogliono arrivare le parti. Nè ArcelorMittal, nè i sindacati e nemmeno Di Maio.
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