La vicenda forse meno nota, e spesso nell’ombra, torna alla luce in una cronaca-itinerario-viaggio nella memoria documentato, appassionato e veemente che muove dall’arresto a Trieste alle prime torture fino a Dachau. Pahor era finito nel lager perché aveva aderito al Fronte di Liberazione Sloveno. Sopravvisse esercitando il mestiere d’infermiere, ma vide letteralmente morire intorno di denutrizione e di malattia tanti compagni.
Lo scrittore ricorda le tenaglie con cui si trascinavano i cadaveri, le assurde percosse, l’agghiacciante sequenza delle docce, con la rasatura del pube, e poi le bocche perennemente urlanti dei tedeschi, i corpi consunti, ossuti dei prigionieri che si trascinavano nella neve coi loro inadatti zoccoli di legno e le loro casacche zebrate o erano intenti a contendersi il cibo lasciato dai morti.
Pahor fu schedato come italiano pur rifiutando di appartenere a una nazione che, dalla fine della prima guerra mondiale, aveva sempre assimilato il suo popolo.
«Oltre ai cinque milioni di ebrei - dice - nei campi c’era gente di altre dodici nazioni, oppositori al regime nazifascista. Gli ebrei erano gasati, gli altri morivano di freddo, malattia o impiccagione, alla fine tutti andavano nei forni crematori e diventavano cenere per concimare i campi. In tutti i campi c’erano forni crematori.
Quello di Natzweiler in confronto a Dachau era piccolo. Ardevano giorno e notte. Al buio si vedeva il fuoco che bruciava nelle ciminiere, come in una raffineria».
Nel lager si trovò faccia a faccia con l’orrore e l’abiezione più inconcepibili. «Ho fatto una terribile esperienza in mezzo a uomini e corpi che erano annientati come paglia marcia. Ho scritto di quell’esperienza e ho avuto la sensazione che mi stavo liberando del male che avevo vissuto, che restava incollato addosso come sporcizia. Scrivendo era come se mi lavassi. L’orrore poteva inseguirmi per sempre, proiettandolo all’esterno me ne sono liberato. Molti sopravvissuti si sono suicidati incapaci di adeguarsi alla normalità».
LA TRAGEDIA
Gli chiedi se la sua reazione all’orrore sia simile a quella di un personaggio di
QUATTRO DECENNI
Ha impiegato più di quarant’anni per farsi conoscere in Italia dopo che era stato tradotto e insignito della Legione d’onore in Francia. Di cittadinanza italiana, ma di nazionalità slovena, appartenenza triestina e nascita austroungarica, Pahor deve molto a
Ora però vorrebbe scrivere un’altra
«Ho vissuto nella stessa via di Saba, ma non ho mai avuto il coraggio di andarlo a trovare, non avevo un testo in italiano da proporgli. Joyce e Svevo amarono e capirono Trieste, ma Trieste non ha fatto altrettanto con loro. Del resto da noi nessuno legge un grande come Slataper, per fortuna Elisabetta gli ha dedicato un film così intenso e poetico
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