«Guercino, l’arte del marketing»

«Guercino, l’arte del marketing»
di Valeria Arnaldi
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Sabato 7 Maggio 2016, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 10:53
Timido quando si trattava di promuovere il proprio talento ma perfettamente - e modernamente - organizzato quando doveva gestire lavori, consegne e vendite. Giovanni Francesco Barbieri, il Guercino, è stato un vero e proprio imprenditore dell'arte, con tanto di strategia di marketing mirata a raggiungere e conquistare una platea internazionale e tariffari adattati alle diverse valute. Le sue tecniche da molti critici dell'epoca e perfino oggi sono state etichettate come "vecchie", ma a giudicare dai suoi registri, Guercino nel Seicento sembra aver posto le basi per il sistema del coefficiente, con cui ancora si calcola indicativamente il prezzo di un'opera. A sottolineare la modernità dell'artista è David M. Stone, professore in Storia dell'Arte all'università del Delaware, tra i più autorevoli studiosi di Guercino e Caravaggio, ora residente per alcuni mesi all'American Academy in Rome. 

Professore, Guercino aveva sviluppato una personale linea di marketing? 
«Guercino viene spesso dipinto come un uomo rustico, soprattutto in confronto con Guido Reni, più sofisticato e abile a muoversi a corte, nonché nel vendere a cifre alte i propri dipinti. Reni chiedeva ai mecenati di stabilire il prezzo dell'opera che volevano acquistare, sulla base della qualità che riconoscevano al suo lavoro. Sfruttava la loro vanità. Nessuno voleva sembrare avaro o incapace di comprendere il dipinto, e quindi tutti finivano per pagare molto più del costo di mercato».

Guercino, invece, come definiva i suoi prezzi?
«Li stabiliva in base al tipo di soggetto rappresentato, a prescindere da qualità del lavoro e tempo impiegato per realizzarlo. Per una figura intera occorrevano cento ducatoni, per mezza figura cinquanta, per una testa venticinque. Non metteva in conto il costo dell'invenzione».

Una modalità diversa da quella in uso tra i grandi, ciò rendeva i suoi lavori più economici rispetto a quelli di altri artisti?
«In realtà, no. Pittori bolognesi di un livello abbastanza alto, come il Cavedone o Massari, negli anni Venti del secolo, hanno ricevuto pagamenti di livello notevolmente inferiore ai suoi. A San Pietro, inoltre, dove la spesa massima per una pala d'altare era di mille scudi, ne ricevette mille e una collana d'oro per la Sepoltura e gloria di Santa Petronilla».

Se, come dimostrato, il mercato sarebbe stato disposto a seguire un "gioco" come quello di Reni, perché Guercino ha preferito mantenere i suoi prezzi fissi?
«Guercino riceveva molte commissioni anche da altri Paesi. Non avrebbe avuto modo di avviare trattative come quelle di Reni, né si sarebbe potuto permettere di inviare l'opera all'estero, lasciando al mecenate il compito di stabilirne il costo, con il rischio che questa non venisse più pagata. Aveva bisogno di un sistema di vendita più agevole. I prezzi fissi, con variabili dettate dalla conversione nelle varie valute, rendevano più semplici le pratiche».

Guercino ha inventato il coefficiente?
«In un certo senso sì. Molti artisti oggi costruiscono i loro tariffari basandosi sulle misure delle opere e il sistema di listino a figure, da lui utilizzato, era legato a dimensioni precise. Chiedere una figura intera implicava una tela di grandi dimensioni, mezza figura più piccola e così via ... Lui però ha tenuto conto della fama solo dopo la morte di Reni, quando ha applicato un aumento del 20% sui lavori, ma lo ha fatto per un periodo limitato, probabilmente a causa della crisi».

A distanza di secoli, le sue strategie di marketing si sono dimostrate vincenti?
«Guercino ha realizzato più opere di Reni ed è riuscito a creare un business più solido. Per quanto riguarda la definizione dei prezzi aveva un rapporto con le opere che si potrebbe dire da artigiano, ma in centinaia di disegni preparatori, dimostra un lato completamente diverso e una ricerca spirituale profonda. Era brillante, dotato di senso dell'umorismo, grande umanità e religiosità».

Sulla semplificazione del lavoro Guercino ha basato anche l'organizzazione della bottega.
«Le richieste erano molte, così lasciava ai suoi l'incarico di realizzare alcune parti delle opere o lavori più modesti, consentendo peraltro a chi non poteva permettersi grandi spese di acquistare una tela. Questa scelta, oltre ad aumentare le vendite, gli ha permesso di dedicarsi a ricerche più importanti, come si evince dai disegni».

Quali aspetti devono essere ancora approfonditi nello studio del Guercino? 
«Occorrerebbe studiare solo le opere di prima qualità, mettendo i disegni a confronto con i dipinti, senza farsi distrarre da lavori minori o copie della sua bottega. Guercino ha raggiunto altezze immense. Grande attenzione deve essere dedicata proprio ai disegni, dove raggiunge livelli altissimi in ogni fase della vita. Il problema è che oggi c'è grande confusione, è necessario tornare ai suoi capolavori. Non si può consentire che Guercino sia imprigionato dalle tele minori».

Lei è anche tra i massimi esperti di Caravaggio, cosa pensa dell'opera rinvenuta recentemente in Francia? 
«Dovrei vederla dal vivo, ma ho poche speranze che si tratti di un autentico Caravaggio, sono portato a credere che sia un dipinto del fiammingo Louis Finson. Il medesimo soggetto, a sua firma, è nella collezione di Banca Intesa. Quello francese sarebbe di qualità migliore».

 
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