PROVOCAZIONE La rivista americana
Più o meno le stesse accuse rivolte a Airbnb, che ogni giorno piazza 12 milioni di ospiti in case e residenze trasformate in bed and breakfast: la sua ultima valutazione è di 24 miliardi di dollari, tre in più della catena Marriott con i suoi 4mila alberghi sparsi in tutto il mondo. E chi controlla Airbnb? Fondi, americani, inglesi e perfino cinesi. Altri signori del denaro facile, come i detestati banchieri. BlaBlaCar, una comunità di 20 milioni di persone che pagano un passaggio in auto, in poche ore ha portato in cassa 200 milioni di dollari, arrivati da fondi di investimento pronti a cavalcare la nuova economia digitale con il vecchio strumento del denaro liquido a buon mercato e di facile accesso. La pervasività della sharing economy ormai è totale, e non tiene fuori più alcun settore dell’industria e dei servizi.
Fulbes è una piattaforma che organizza partite di calcetto con quasi 400mila iscritti, mentre le varie comunità del car sharing, nelle sue diverse declinazioni, si presentano con oltre 2 milioni di utenti. Bene: che cosa rischia l’industria dell’automobile di fronte a questa onda lunga che mette in discussione non solo uno status symbol del Novecento, il possesso dell’auto, ma anche uno stile di vita? E quanto può pesare questo cambiamento nel ritardare l’auspicata ripresa economica di cui tanto parliamo ma ancora poco vediamo? Negli Stati Uniti è stato calcolato che, in seguito all’esplosione della condivisione dell’auto, la famiglia media passerà dal possesso, e quindi dall’acquisto, di 2,1 automobili a 1,2. Praticamente la metà, mentre ogni auto condivisa ne rimpiazza 9 possedute. E già oggi 200mila cittadini milanesi non hanno più bisogno di essere proprietari di una vettura per circolare nel centro della città.
COLPO FATALE La sharing economy rischia di dare una botta anche all’industria dell’abbigliamento e del lusso. Il primo di questi due mercati vale 400 miliardi di dollari, ma l’usato che si intermedia attraverso le piattaforme online è già a 34 miliardi di dollari. E solo su eBay prodotti di fascia alta, marcati Tiffany e Ralph Lauren, valgono un fatturato di 50 milioni di dollari. Nel frattempo, a forza di condividere, ci siamo resi conto che un terzo del nostro guardaroba, è la media in una famiglia italiana, non viene utilizzato. E quindi anche in questo campo una ripresa dei consumi in stile ruggenti anni Ottanta non è certo all’orizzonte. Infine, l’economia della condivisione ci ha sempre promesso grandi risparmi.
E in qualche modo sta mantenendo alto il livello di questa fondamentale aspettativa, al centro dei nostri pensieri di consumatori: lo scorso anno, ricordiamolo, la parola
Dunque era inevitabile che la sharing economy mettesse in moto un meccanismo di “distruzioni creative”, ed era altrettanto prevedibile che il capitalismo tradizionale, ormai dominato dalla finanza abbinata alla tecnologia, scendesse in campo con le sue autodifese. Siamo in una fase di transizione, alla ricerca globale del nuovo modello di sviluppo, e una parola definitiva la diranno loro, i consumatori, e innanzitutto i Millennials, la generazione dei nati negli anni Ottanta che nel 2020 rappresenteranno un quarto della popolazione italiana. Uomini e donne molto diversi dai baby boomer, più spregiudicati e più infedeli negli acquisti di ogni tipo, pronti a cambiare a cavallo sulla base di una sola parola: la convenienza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA