Che cosa è cambiato in questi 22 anni?
«Si è lavorato moltissimo, sulla gestione delle emergenze e sulla mitigazione del rischio. In pratica abbiamo capito molto meglio come gestire la fase di allarme, di monitoraggio, e di gestione della crisi, e abbiamo anche imparato molto meglio a conoscere il territorio e a mettere in evidenza tutte le vulnerabilità».
Cosa significa in termini concreti?
«Che i sistemi che sono stati messi in campo e collaudati in questi anni cominciano a dare i frutti di una certa consolidata esperienza. Per esempio, la gestione dell’informazione e del sistema di allarme ha favorito l’adozione di una serie di misure precauzionali. Nel 1994 ci furono persone colte di sorpresa ad Asti e ad Alessandria dall’ondata di piena senza che nessuno fosse stato in grado di lanciare un allarme».
Si tratta solo di una questione di allarme preventivo?
«Non solo, ma certo questa componente ha la sua rilevanza nel fatto che ci siano meno vittime per colpa di questi eventi. In generale però va detto che abbiamo cominciato a capire molto di più tante cose anche del nostro territorio, delle sue fragilità. Le attuali condizioni di rischio idrogeologico in Italia sono legate, sia alle caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche del territorio, sia al forte incremento, a partire dagli anni ’50, delle aree urbanizzate, industriali e delle infrastrutture lineari di comunicazione, che è spesso avvenuto in assenza di una corretta pianificazione territoriale e con percentuali di abusivismo che hanno raggiunto anche il 60 per cento nelle regioni dell’Italia meridionale. Tuttavia ora abbiamo cominciato ad essere più attivi nel contrastare questo rischio».
Ci spieghi, come?
«Intanto abbiamo cominciato a conoscere, ovvero a mappare nel dettaglio le aree di rischio e a classificarle sulla base di una serie di fattori tra cui quelli della frequenza con la quale sono esposte ad alluvioni e frane. Poi abbiamo cominciato a verificare dove ci fosse la più alta concentrazione di persone esposte a questo tipo di rischio, e, sulla base di questi criteri, si è iniziato a intervenire con progetti concreti. In altri termini i dati scientifici e la conoscenza del territorio e del rischio ad esso associato ha permesso alla Struttura di Missione del Governo di elaborare in piano di interventi, i piano stralcio per le Aree Metropolitane, che ha permesso di avviare già diversi cantieri».
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