Fecondazione assistita: flop dei centri italiani, più interventi all’estero

Fecondazione assistita: flop dei centri italiani, più interventi all’estero
di Valentina Arcovio
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Sabato 24 Febbraio 2018, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 11:36
I figli della fecondazione eterologa made in Italy sono per almeno metà stranieri. Più precisamente danesi, cechi, greci, spagnoli e svizzeri. Il perché è presto detto: dai dati della Relazione annuale sullo stato di attuazione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, trasmessa dal ministero della Salute al Parlamento, importiamo dall’estero ben il 95% degli ovociti, il 75% del liquido seminale e una quota significativa di cicli è effettuata con embrioni formati all’estero. Nei fatti, nonostante la fecondazione eterologa sia stata «sdoganata» da una sentenza della Corte Costituzionale ormai da 4 anni, il nostro paese non è affatto organizzato a far fronte alla richiesta delle coppie, in costante aumento. 

COSTI ALTI E POCHE CERTEZZE
Il problema principale sono i donatori italiani, troppo pochi. Per questo si fa ancora ricorso alle banche estere con costi elevati e poche certezze sulla qualità del materiale biologico importato. A lanciare l’allarme è stata la Società Italiana della Riproduzione Umana (Siru), i cui membri fanno parte del board del progetto ACQuOS (Audit Control Quality Oocyte and Spermatozoa). Lo scopo dell’iniziativa è quello di attuare una valutazione indipendente dei gameti importati in Italia dalle banche estere nell’ambito della fecondazione eterologa. «La sicurezza delle coppie che devono ricorrere alla donazione di gameti - spiega Antonino Guglielmino, ginecologo e presidente della Siru - è una delle priorità della nostra società scientifica. Per questo motivo, in seguito al rilevamento di alcune criticità evidenziate da diversi organi competenti e in collaborazione con gli organi ispettivi di sicurezza, la Siru ha dato il via a questa operazione i cui primi risultati saranno presentati in occasione del prossimo Congresso nazionale Siru, che si svolgerà il prossimo autunno a Catania». 

I requisiti di sicurezza e qualità stabiliti dalle normative europee saranno oggetto principale dell’audit promosso dal progetto ACQuOS, che inizialmente partirà dal 1 aprile su due banche greche e tre spagnole per poi allargarsi ad altri centri esteri. Nello specifico, obiettivo dell’audit sarà la verifica di diversi criteri, tra i quali: le procedure di selezione delle donatrici e dei donatori, le procedure per il recupero dei gameti maschili e femminili, la tracciabilità, i requisiti ambientali e della strumentazione, i criteri di stoccaggio (qualità e sicurezza), e le modalità di trasporto dei gameti e embrioni. 

La questione non è solo di sicurezza, ma anche economica. «Un ciclo di fecondazione eterologa che utilizza ovociti donati - spiega Guglielmino - ha un costo che si aggira intorno ai 5-6 mila euro. La metà di questa spesa dipende dall’ovocita che viene importato». 

Nel 2016, secondo i dati preliminari del ministero della Salute, le importazioni di ovociti sono raddoppiate, così come sono aumentate le richieste per la fecondazione eterologa. Sono state registrate importazioni di 6.379 criocontenitori di ovociti (ogni criocontenitore contiene 6/7 ovociti) a fronte dei 3.304 registrate l’anno prima. Per quanto riguarda i criocontenitori contenenti liquido seminale nel 2016 ne sono stati importati 3.167, a fronte dei 1982 dell’anno precedente. In aumento anche l’importazione di embrioni (ogni criocontenitore contiene 1-2 embrioni): dai 744 registrati nel 2015 ai 2.877 nel 2016.

METTERE IN MOTO IL SISTEMA
«L’insufficienza di donatori nel nostro paese è connessa a diversi fattori, in parte legati alla volontarietà dell’atto ma anche collegati alla mancanza di una cultura della donazione», spiega Guglielmino, secondo il quale per incoraggiare la donazione, è importante sensibilizzare l’opinione pubblica con campagne informative sulla donazione. Non solo. «Occorre - continua l’esperto - costruire e mettere in moto l’intero sistema. A cominciare dalle regioni che dovrebbero iniziare ad attrezzarsi con delle banche, come ha già fatto il Friuli Venezia Giulia, la Toscana e come si sta organizzando la Lombardia. E poi bisognerebbe fare chiarezza sui costi delle donazioni di ovociti: chi paga gli esami, i farmaci e le procedure necessarie?».
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